La recente vicenda che ha provocato tanto scalpore, sul piccolo bimbo che ci ha lasciato in conseguenza di una otite bilaterale con conseguente propagazione dell’infezione all’encefalo, con l’ampio dibattito che ne è seguito, mi ha convinto a intervenire sull’argomento.
Ho preferito non intervenire subito, nei giorni seguenti, per rispetto del dolore di questa famiglia e per evitare gli impatti emotivi che vicende come questa suscitano nella opinione pubblica.
Ma questo dibattito è di antica data e ritengo sia giunto il tempo di fare chiarezza.
Solo dopo pochi anni l’inizio della professione di medico – ospedaliero, nel mio caso – ho ovviamente sentito circolare nel mondo sanitario il dibattito fra medicina tradizionale e non tradizionale, o secondo altri fra medicina ufficiale e omeopatia, o, ancora, fra medicina allopatica e omeopatica.
Devo dire che tali problematiche non mi avevano distratto più di tanto dalla professione. Esercitando nel settore dell’oncologia ed ematologia, i problemi che mi avevano sempre assillato erano stati ben altri. Dalla creazione delle strutture idonee per combattere la malattia oncologica, alla costruzione delle discipline adeguate a farlo, dalla sperimentazione di nuovi farmaci e terapie alla ricerca scientifica, e così via. Vedevo quindi quel dibattito come una problematica di ‘confine’ , dato che ben pochi risultati avrebbe portato alla cura delle neoplasie.
Lo confesso però apertamente: appartengo alla categoria dei medici allopatici e non mi voglio fare sconti. Però, non ho mai guardato con sospetto alla medicina omeopatica e ne ho visto negli anni la progressione.
Oggi ho una idea molto precisa: vi sono settori in cui la medicina tradizionale non può essere messa in discussione.
Mi riferisco ad esempio alla maggior parte delle patologie cardiologiche, a quelle oncologiche e infettivologiche , quelle neurologiche e degenerative, e altre ancora.
Ma vi sono altri settori, come quello delle malattie psicosomatiche, alcune patologie dermatologiche dell’adulto e del bambino, e diverse piccole patologie della vita quotidiana, in cui l’omeopatia può essere preferibile.
Il punto è che, come in tutti i campi, anche in medicina le esagerazioni, la mancanza di equilibrio e discernimento, possono risultare deleteri.
Pretendere di curare le patologie cardiologiche od oncologiche con l’omeopatia appare folle quanto pretendere di utilizzare farmaci costosi (e inutili) in tutte le piccole patologie della vita quotidiana o nel settore psicosomatico.
Quindi omeopatia e medicina tradizionale possono trovare spazi di intervento diverso; ritengo che questo debba oggi essere riconosciuto.
Ma sento sempre più parlare – e anche il Ministro Lorenzin lo ha fatto recentemente – dell’omeopatia come terapia complementare alla medicina tradizionale.
In soldoni: fai pure le cure tradizionali, ma associa anche le terapie complementari, in quanto ti aiutano – dicono taluni – a tollerare meglio le terapie tradizionali, potenziandone l’effetto.
Il risultato? Sarebbe che i pazienti assumono ogni giorno ‘una sporta’ di farmaci, fra il tradizionale e l’omeopatico, tanto da dover programmare come un computer la loro sequenza.
Anche questa a me pare una esagerazione a cui occorre porre rimedio.
In che senso parlo di far chiarezza?
Facciamo diventare l’omeopatia una branca della medicina tradizionale, inseriamola fra le materie di insegnamento, classifichiamo con precisione, per quanto si può, i settori di competenza e facciamo una elencazione dei presidi utilizzabili.
Stabiliamo poi con precisione chi può esercitare la professione di omeopata, per evitare eccessi e abusi professionali.
Solo conoscendo bene una disciplina, e l’Omeopatia lo è, la si può sistematizzare e farla conoscere con più precisione ai medici e ai pazienti.
Alberto Ravaioli