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Non si salva il calcio con stadi blindati e selfie con gli ultras pregiudicati

E adesso in tanti diranno di fermare i campionati eccetera eccetera.
Dopo quanto si è visto a Milano – un morto e 4 accoltellati prima di Inter – Napoli e poi con i cori razzisti dentro San Siro – primo passo sarebbe dire meno, rispettare di più, agire in prevenzione e non con provvedimenti “teatrali” che coinvolgono centinaia di agenti, camionette e situazioni contingenti.

Questi scontri, hanno una genesi culturale e seguono una pratica che esula da quello che succede in campo.

Non ci sono scontri per un rigore negato o per una chiamata al var ignorata.
Ci sono scontri perché esiste una cultura, o sub cultura se preferite, che li prevede. E contro una cultura, che è una forma di aggregazione, non serve militarizzare l’accesso agli stadi o esacerbare i controlli su chi non condivide e non si sente portatore di quella cultura.

Non mi risulta nemmeno che chi si sente portatore di quella cultura abbia mai chiesto la copertura di altri o si sia mai sottratto alla giustizia.

Immagino non si giocherà nel prossimo weekend e immagino che dopo la sosta ci ritroveremo con misure ancor più pesanti, restrittive e visibili.
Più polizia, più controlli e più restrizioni verso tutti indiscriminatamente.

Servirebbe, invece, caricare a testa bassa contro la cultura che vive dello scontro, concentrandosi su chi si sente portatore di questo modo di pensare.

Ma sono sicuro che questo non succederà.
In un Paese in cui chi sarà chiamato a prendere provvedimenti si è appena fatto un selfie con un esponente di quella cultura, pregiudicato, vincerà il fumo negli occhi. E avremo l’ennesima operazione sicurezza con uno zero in più nel numero dei poliziotti presenti con una miriade di inutili controlli in più.
Meno male che ho già la tessera del tifoso, da gennaio mi tornerà utile.

Emanuele Pironi

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