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“Non chiamateci eroi”. La protesta degli infermieri: “Siamo ‘solo’ professionisti”

“Eroi” ritratti nelle immagini iconiche dei giorni della pandemia che il Paese vorrebbe vedere per sempre alle spalle con l’augurio di trarre non pochi insegnamenti da quanto accaduto negli ultimi mesi con il propagarsi dell’epidemia di coronavirus. Loro sono gli infermieri, i camici verdi che in prima linea hanno fronteggiato la malattia con un’assistenza continua ai pazienti. Sostenendo l’ondata dei malati di Covid19 che in certi giorni arrivano ora dopo ora nei pronto soccorsi italiani. Migliaia di persone, come sappiamo, sono morte (ben più di 33.000) altrettante si sono salvate anche grazie all’operato degli infermieri.

Che ora, ancora in guardia per la possibile seconda ondata, ancora in campo visto che il virus non è scomparso ma ha solo allentato la sua morsa fino a prova contraria, rivendicano il diritto a non essere chiamati “eroi”, ma trattati da professionisti. Durante le proteste che li vedono scendere in piazza giorno dopo giorno in queste settimane gli infermieri emiliano romagnoli hanno chiesto – anche a Rimini – “di voler vedere riconosciuti i diritti propri a una categoria professionale intellettuale che ha un proprio ordine“. E quindi, stipendi adeguati al carico di lavoro, orari di lavoro sostenibili. Ma non solo.

Francesca Batani è la portavoce di  Nurisng Up Emilia Romagna Rimini, il sindacato degli infermieri. Che a Rimini ha organizzato il sit – in di protesa di fronte alla Prefettura “cui abbiamo rivolto le richieste che vorremmo arrivino al più presto sul tavolo del Governo“.

La Batani lamenta alcune condotte intraprese dalle aziende sanitarie durante le settimane che hanno preceduto il diffondersi dell’epidemia tale da far scattare l’emergenza. “A fine gennaio – spiega – noi infermieri avevamo cominciato a indossare le mascherina e usare gli altri dispositivi di protezione individuale. Le aziende sanitarie ce lo hanno proibito. Hanno detto che ne facevamo un uso improprio, che terrorizzavamo la popolazione. In più le zone pulite, negli ospedali, venivano decise arbitrariamente. Non è un caso che abbiamo avuto tanti contagi, anche tra i colleghi. Spesso i nuovi infermieri venivano assunti e mandati direttamente nei reparti Covid. Tra l’insieme di questi atteggiamenti, lo stipendio non adeguato, i turni massacranti, per non parlare dei sacrifici che anche i nostri cari hanno dovuto sostenere per evidenti motivi, possiamo parlare di schiavismo”. 

E non è tutto. “Eroi per quanto ci riguarda è stato un termine usato per galvanizzarci darci un contentino. Così come lo stesso meccanismo è entrato in funzione con il riconoscimento economico che ci ha dato la Regione. Per altro, questo riconoscimento non è stato percepito dai tanti nuovi assunti ma solo da chi i corsia lavorava da molto tempo. Questo perchè riferito al periodo tra le fine di febbraio e la prima metà marzo. I nuovi assunti sono arrivati in Ospedale solo a fine marzo. Ecco crediamo che questi premi debbano essere concessi una tantum. E senza chiedere di restituire i soldi, come è accaduto, perchè altrimenti non è nemmeno un riconoscimento ma un prestito“.

Nella “trincea” degli ospedali, come spesso sono state definite le corsi nelle scorse settimane, le scene cui hanno assistito infermieri e medici erano inedite, come è noto. “Sia dal punto di vista professionale che emotivo, non avevamo la possibilità di fare quello che facevamo di solito. Ovvero accompagnare i pazienti alla morte, per quanto drammatica. O comunque assisterli in momenti a dir poco difficili. Voglio poi sottolineare che, anche al di là dell’epidemia in condizioni normali è stato dimostrato che la presenza assistenziale di un infermiere ogni sei pazienti ne abbatte il tasso di mortalità. Noi lavoriamo disponendo di un infermiere ogni 12 pazienti di giorno e 1 infermiere ogni 24 di notte. Per esempio più infermieri abbiamo in un ospedale più i pazienti vengono assistiti rischiando meno di rompersi un femore o il bacino con una caduta rimediata perchè magari si erano alzati senza assistenza.“.

IL DOCUMENTO INVIATO AI PREFETTI

Nel documento recapitato ai Prefetti dell’Emilia Romagna il sindacato richiede che venga riconosciuta “un‘area contrattuale infermieristica che riconosca peculiarità, competenza e indispensabilità ormai evidenti di una categoria che rappresenta oltre il 41% delle forze del Servizio sanitario nazionale e oltre il 61% degli organici delle professioni sanitarie. Analogamente accada per le professioni sanitarie ostetrica e tecniche

In più il riconoscimento economico, ovvero “Risorse sufficienti per garantire una indennità infermieristica che, al pari di quella già riconosciuta per altre professioni sanitarie della dirigenza, sia parte del trattamento economico fondamentale, non una “una tantum” e riconosca e valorizzi sul piano economico le profonde differenze rispetto alle altre professioni, sempre esistite, ma rese evidenti proprio da COVID-19”.

Si legge poi la richiesta di risorse economiche per il contratto della sanità finalizzate e sufficienti per conferire un’indennità specifica e dignitosa per tutti i professionisti che assistono pazienti con un rischio infettivo, il riconoscimento della malattia professionale e correlato meccanismo di indennizzo in caso di infezione con o senza esiti temporanei o permanenti.

In più un immediato adeguamento delle dotazioni organiche del personale operante nella generalità dei presidi ospedalieri e sul territorio. Aggiornamento altrettanto immediato della programmazione degli accessi universitari, perché gli infermieri attuali non bastano, ne

mancano 53mila ma gli Atenei puntano ogni anno al ribasso”.

 

 

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