‘Gli uccelli con le stesse penne si ritrovano assieme nei medesimi luoghi’. Un aforisma che si attaglia perfettamente all’evento ospitato sabato scorso nell’anfiteatro di Castel Sismondo, frutto dell’incontro umano e culturale di due riminesi dal cuore caldo, accomunati dal desiderio di trasmettere il ricordo dei genitori recentemente scomparsi.
Cristiano Paci e Gianmarco Bedetti non si conoscevano. Poi, lavorando di comune accordo per l’allestimento complesso e impegnativo di questo spettacolo, nato dall’idea scaturita durante un incontro occasionale, sono diventati amici veri. Come lo furono i loro padri: Romano Bedetti cronista, documentarista, commentatore sportivo e anima della prima televisione privata sorta in Italia e Fiorello Paci giornalista, scrittore, fondatore di periodici e riviste romagnole e creatore di rubriche televisive.
Lo spettacolo cui abbiamo assistito ha esaltato, alternativamente, la creatività di questi due straordinari personaggi. E ciò attraverso i ricordi di chi è stato loro vicino, la proiezione di video che li vedono protagonisti e la rievocazione di pubblicazioni che hanno fatto la storia di Rimini come il Garbino e il Ponte, entrambe sorte per iniziativa di Fiorello. Il tutto intervallato dalle danze e dai canti dei Ragazzi del Lago, tratti dallo show ‘Spettacolo di Cabaret’ dell’autore e regista Carlo Tedeschi. Un omaggio alla memoria di Fiorello, grande amico di una Comunità che lo aveva insignito del Premio Leo Amici per la sua inesausta attività nel sociale
Straordinaria, anche per la conservata nitidezza delle immagini, la rievocazione dei primi passi della Babelis TV effettuata da Gianmarco Bedetti, attraverso il montaggio di spezzoni di telegiornali, interviste di celebri personaggi e telecronache fulminanti che hanno visto costantemente in azione il papà Romano E non poteva mancare, sempre a cura di Gianmarco, il ricordo della trasmissione più significativa: “In zir per la Rumagna” ideata e condotta dal compianto Marco Magalotti. Dinanzi a quelle immagini di inestimabile valore storico e culturale per la memoria di usi e costumi che altrimenti sarebbe andata irrimediabilmente perduta, Mario Lugli, appassionato collaboratore di Marco per oltre trent’anni, non ha saputo trattenere le lacrime.
E’ seguita la riproduzione su schermo della telecronaca in diretta di uno degli eventi sportivi più significativi della storia riminese. Il mitico incontro (18 novembre 1977) tra i pesi massimi Leo Sprinks e il nostro Alfio Righetti. Il quale, chiamato sul palco, ancora agile e imponente, ha scambiato divertenti battute con l’intervistatore in merito alla sua successiva attività di vigile urbano.
Dopo il breve intervento di un commosso Pino Bagnolini il cui appartamento riminese rappresentò il primo ‘studio televisivo’ della neonata Babelis, e le gustose osservazioni di Stefano Papini, storico cameraman tuttora in servizio, sulle immani fatiche sopportate dai tecnici TV degli anni ‘70 vittime di mostruose attrezzature e di obsolete tecnologie, è arrivato anche il mio turno. Chiamato sul palco in veste di legale, purtroppo ormai storico, della Babelis (poi trasformatasi in TeleRimini e TeleRimini VGA) ho ricordato che il suo nome deriva dall’acronimo dei cognomi di BAgnolini , BEdetti, LIuzzi e Soci. Quattro ragazzi, amici per la pelle, che avvalendosi di una innovativa telecamera portatile Akai da un quarto di pollice scovata dal fotografo Soci in Giappone, e unica esistente in Italia, iniziarono nel 1971 (e dunque in pieno regime di monopolio statale dell’informazione) ad effettuare registrazioni delle telecronache delle partite della Rimini Calcio. Partite che, collegando di volta in volta, un cavetto del registratore all’ apparecchio televisivo del locale, trasmettevano subito dopo nei bar, nei circoli sportivi e dalle vetrine dei negozi.
Indescrivibile l’entusiasmo della popolazione sportiva riminese, nell’assistere agli indimenticabili gol di Spadoni! Ma la peculiarità dell’iniziativa stava nel fatto che quella telecamera giapponese era portatrice di una innovazione sconvolgente. All’epoca,infatti, la possibilità tecnica di registrare una trasmissione con video e audio su un apparecchio portatile era ancora sconosciuta, tant’è che la RAI si serviva ancora, per le riprese esterne, di una pellicola sedici millimetri, che veniva poi riversata in ampex in studio.
Per ciò la “Babelis” fece subito notizia a livello nazionale. “La Babelis – scrisse su Panorama il grande giornalista Sandro Ottolenghi – costituisce in questo momento il più grande esempio di Televisione Privata al servizio dei cittadini operante al di fuori della Televisione di Stato al servizio del potere”.
Poi, ai primi del 1972, Romano Bedetti piombò nel mio studio di giovanissimo avvocato chiedendomi se potesse considerarsi reato trasmettere sulle lunghe distanze collegando la telecamera a un cavo coassiale innestato su antenne televisive. Il quesito era intrigante. Non si trattava più infatti di mandar in onda una registrazione collegata direttamente all’apparecchio, come si fa oggi con un CD ma di una trasmissione vera e propria! A questo punto entrai anch’io, in una partita che doveva segnare per anni la mia vita professionale, scoprendo con sommo stupore che il Codice Postale e delle Comunicazioni vietava severamente ai privati l’installazione di impianti telegrafici, telefonici e radioelettrici ma non aveva previsto l’uso del cavo coassiale, esistente solo in forma sperimentale all’epoca della sua entrata in vigore (1935). Né si poteva equivocare, per ragioni squisitamente tecniche, sul termine ‘radioelettrico’, inapplicabile all’uso del cavo predetto.
Fu così che la Babelis, iniziò le sue prime vere trasmissioni mentre un audace elettricista si aggirava nottetempo sui tetti della nostra città collegando le antenne centralizzate dei televisori condominiali al nostro primo spartano Studio Televisivo di Via Soardi.
Ma adesso viene il bello. Perché… Ma qui giunto, il conduttore Pier Antonio Bonvicini (forse ignaro che sono ormai l’unico testimone sopravvissuto di avvenimenti pioneristici che hanno subìto una inspiegabile ‘damnatio memoriae’ dopo l’avvento, dieci anni dopo, di tal Berlusconi) ha deciso di allontanare da me un microfono che, quale scettro del potere, teneva ben stretto in pugno in aggiunta a quello che aveva già. Avevo parlato infatti per ben cinque minuti! Troppi per la sua scaletta, peraltro non condizionata da particolari esigenze d’orario se non quella di por fine allo spettacolo entro le 23,30 per non stancar troppo il numeroso pubblico convenuto.
Peccato. Perché le modalità da me adottate per ottenere dai Giudici la concessione della prima testata giornalistica televisiva privata, nonché la prima sentenza che consentiva l’accesso agli stadi delle telecamere private e infine la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale previa autodenuncia per violazione del liberticida d.p.r. Gioia, potevano risultare abbastanza interessanti.
Solo in un secondo momento ho riconosciuto nel predetto conduttore il ragazzino che (nell’eroico periodo. in cui tutti i membri della neonata società TeleAdria erano tenuti a collaborare no profit all’emittente) mandavo in giro a fare qualche servizio di cronaca locale per il Telegiornale che dirigevo tra un processo e l’altro. Ricordo in particolare che Bonvi mi tenne un po’ il muso in occasione di una intervista cui teneva molto che invece, per lo spessore del personaggio, avevo deciso di affidare proprio al giovane Fiorello, il più bravo esperto e professionale di tutti. In quella occasione, a pensarci bene, ero stato io a sottrarre il microfono a lui…
Chi la fa l’aspetti!
Giuliano Bonizzato