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Che Natale sarebbe senza cappelletti?

E’ un rito che ormai, con l’arrivo del congelatore in ogni casa, si anticipa di giorni o anche di settimane, ma fino a qualche decennio fa si svolgeva solamente nella sera della Vigilia, dopo cena e prima che la famiglie uscisse per recarsi alla Messa notturna.

In questo periodo tutta la terra di Romagna si unisce, oggi come sempre, sotto la stessa bandiera: Sua Maestà “il cappelletto”.

Basti aver dato un’occhiata ai carrelli della spesa delle signore nei supermercati o alle innumerevoli fotografie postate su Facebook: non c’è casa dove il congelatore non sia ricolmo di sacchetti pronti da tuffare in vaporoso brodo di carne.

Il giorno di Natale, alla medesima ora, in quasi tutte le case, il lavoro di innumerevoli mani pazienti sobbollirà un po’, prima di venire a galla nel pentolone, e rimarrà qualche minuto a gonfiarsi e covare, in attesa di essere impiattato e portato sulla tavola della festa.

Chiunque volesse giocare con le statistiche, confermerebbe: cappelletti in brodo per tutti, o quasi.
Ma, attenzione, la Romagna è vasta, le famiglie si sono spostate, con tradizioni culinarie al seguito,
Ferme restando alcune basi (la preparazione collettiva, con qualcuno che impasta, qualcun altro che tira la sfoglia, altri che mettono il ripieno e chiudono), come succede sempre con le preparazioni tipiche, le ricette, seppur simili, sono differenti da famiglia in famiglia.

I cappelletti di Rimini e di alcune zone delle Marche chiedono il ripieno di carne macinata e formaggio grattugiato, avvicinandosi così ai tortellini bolognesi.

Quelli della zona di Cesena e del Rubicone sono invece più morbidi: col ripieno di formaggi, a cui si aggiunge solo una piccola parte di carne, solitamente petto di cappone.

Il nostro “Buon Natale” ai lettori passa quindi attraverso questo piatto della tradizione, così come lo racconta il gastronomo di Forlimpopoli.

artusi

Da “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, di Pellegrino Artusi

Ricetta n. 7 – CAPPELLETTI ALL’USO DI ROMAGNA

Sono così chiamati per la loro forma a cappello. Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco.

  • Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180.
  • Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta.
  • Parmigiano grattato, grammi 30.
  • Uova, uno intero e un rosso.
  • Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace.
  • Un pizzico di sale.

Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl’ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera.

Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d’uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo della grandezza come quello segnato. Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell’acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c’è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.

Maria Cristina  Muccioli

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