È solo ad una settimana dal passaggio del ciclone IDAI nelle Province centrali del Mozambico che si comincia ad avere un’idea più chiara delle conseguenze di quello che viene considerato il maggiore disastro naturale che ha colpito uno dei Paesi più poveri al mondo: 242 morti, 3.000 persone che si erano rifugiate sui tetti o sugli alberi messe in salvo dalle squadre di search and rescue che in elicottero sorvolano le zone allagate, 15.000 persone che ancora devono essere salvate, 65.000 sfollati nelle scuole e nelle chiese che non sono andate distrutte, 11.400 abitazioni, 2.800 aule scolastiche e 39 unità sanitarie completamente distrutti, 385.300 ettari di produzione agricola perduti, tra le 600 e le 800.000 famiglie bisognose di assistenza.
Le vie di comunicazione sono interrotte, e ad oggi Beira – capoluogo della Provincia di Sofala, la più colpita dal ciclone – è raggiungibile solo per via aerea. Il 90% degli edifici della seconda città del Paese, che conta circa 500mila abitanti, è parzialmente o completamente distrutto. La rete elettrica è interrotta e non ci sono previsioni di un suo ripristino in tempi brevi, le comunicazioni funzionano a singhiozzo solo da un paio di giorni, acqua potabile, cibo, combustibile scarseggiano e i prezzi dei beni di prima necessità che ancora si trovano in città sono aumentati del 300%.
Ma se in città la situazione è drammatica, nelle zone rurali è tragica: i distretti di Buzi e Dondo sono completamente sommersi dall’acqua, alcuni villaggi sono stati completamente spazzati via, altre zone rimangono ad oggi irraggiungibili. Il numero delle vittime è destinato a salire, anche perché la situazione sanitaria si sta rapidamente aggravando: diarrea acuta causata dall’acqua contaminata, problemi respiratori, malaria, un elevato rischio che si verifichi un’epidemia di colera.
In questo momento la priorità rimane salvare vite umane. Ma contemporaneamente si sta organizzando un sistema di aiuti di emergenza e post-emergenza che coinvolge il governo, le organizzazioni delle Nazioni Unite, le agenzie governative di cooperazione, le ONG internazionali e mozambicane, e tantissimi cittadini che qui nel Paese si stanno mobilitando per aiutare come possono: estamosjuntos, stiamo uniti, si dice in Mozambico.
Sono giornate concitate a Maputo per chi come me lavora in questo settore: con la mia ONG, Helpcode, che da vent’anni lavora nella Provincia di Sofala, stiamo contando i danni nelle scuole, nelle comunità e nelle associazioni di contadini con cui lavoriamo, stiamo partecipando agli incontri di coordinamento con governo e organizzazioni internazionali per garantire l’assistenza necessaria, stiamo distribuendo beni di prima necessità con kit igienici e sanitari e viveri sotto il coordinamento del gruppo “logistica” delle Nazioni Unite. Quando sarà conclusa la fase di emergenza, lavoreremo alle opere di ricostruzione, installazione di tende-scuola per consentire la ripresa delle attività scolastiche e riattivazione delle coltivazioni andate totalmente distrutte. Ma si lavora con il cuore pesante, sia per la tragedia che ha colpito il Paese che ci ospita, sia perché siamo consapevoli che i prossimi mesi, anni saranno durissimi per la popolazione della Provincia.
Roberta Pellizzoli, riminese, è responsabile dei progetti in Mozambico di Helpcode. Helpcode ha attivato una raccolta fondi a sostegno delle vittime del ciclone Idai:
www.helpcode.org/emergenza-mozambico
Citazione
“Non sento i miei famigliari dal giorno del ciclone. Non c’è rete e tutte le comunicazioni sono impossibili. L’unica strada che entra in città è bloccata a causa di un fiume che è esondato e se l’è portata via. Un amico che è riuscito a passare mi ha riferito che parte delle pareti della mia casa a Beira sono crollate. Devo raggiungere la città per sapere se la mia famiglia è ancora viva. Arriverò al punto in cui la strada è interrotta e attraverserò a nuoto per raggiungere la sponda opposta anche se so che la corrente è molto forte e diverse persone che ci hanno provato hanno perso la vita. Ma non ho alternative”, mi racconta un collega rimasto bloccato nel distretto di Gorongosa.
Roberta Pellizzoli
Gli allagamenti provocati dal ciclone (foto di Fanie Jordaan)
La popolazione in fuga dalle zone colpite dal ciclone (foto di UNICEF Mozambique)
Allagamenti nella Provincia di Sofala (foto di Fanie Jordaan)
Danni del Ciclone Idai a Beira (foto di Helpcode – Matteo Raineri)
Tetti scoperchiati dal vento nella periferia di Beira (foto di Helpcode – Matteo Raineri)
Gli allagamenti provocati dal ciclone (foto di Fanie Jordaan)
In copertina: I bambini e le loro famiglie osservano le loro case ricoperte dall’acqua (foto di Nigrizia)