Come è noto, la toponomastica riguarda i nomi delle strade, delle piazze e dei luoghi in genere. I nomi non nascono mai per caso: soprattutto se facciamo riferimento ai secoli passati, possiamo verificare che ogni nome aveva il suo significato, si legava alle caratteristiche del sito, alle persone che l’abitavano, ai fatti che vi sono successi. In definitiva, i vecchi nomi ci raccontano sempre una storia, la storia della nostra città e del suo territorio. Quindi parlarne non è una cosa banale.
Sul vecchio Chiamami Città, quello cartaceo, avevo iniziato una rubrica riguardante la toponomastica medievale riminese. L’ho ripresa qui su Chiamamicittà.it; poi gli eventi disastrosi dell’agosto scorso mi hanno indotto a sospenderla per parlare dei terremoti di Rimini. Successivamente una serie di impegni mi ha costretto ad una pausa; ora voglio cercare di riprendere il lavoro iniziato.
E così oggi parlerò dello stradello che collega via Garibaldi a via Soardi: attualmente si chiama vicolo Levizzani, nome che risulta già nella mappa napoleonica del 1811. Levizzani sembra un cognome, ma nelle mie ricerche non ne ho trovato traccia. In compenso nel Medioevo, fra Tre e Quattrocento, quel vicolo ha ricevuto svariate denominazioni, legate alle famiglie o persone che vi abitavano, oppure vi lavoravano. Queste molteplici variazioni, a distanza di tempi brevi, sono un fatto abbastanza raro a Rimini. Nei documenti d’archivio il vicolo è qualificato in genere come “androna” o “androne” e risulta chiamato nei seguenti modi:
– 1363, 1364: androne dei Rigazzi,
– 1410, 1437, 1467, 1468: androna di donna Agnesola,
– 1433, 1459: androne dei Marcheselli,
– 1490, 1491: androne del Pagliarazzo,
– 1493: androna della Faggiola,
– 1499: androna della Faggiola o del Paglieraio,
– 1500: androna già dell’Agnesola, ora del Pagliarazzo.
In particolare va segnalato che per qualche tempo il vicolo ha preso nome dalla famiglia Marcheselli, che aveva la propria residenza in quel sito. La cosa è ben nota perché nel 1470 lì si è consumato un tristissimo fatto di sangue. Sigismondo Malatesta era morto da poco tempo (ottobre 1468); le redini della città erano in mano della vedova Isotta degli Atti, coadiuvata dal giovane Sallustio, figlio naturale di Sigismondo. Costoro, sentendosi deboli, avevano coinvolto nel governo cittadino, anche Roberto, cioè il figlio maggiore, illegittimo, del signore defunto.
Roberto in un primo tempo ha accettato di dividere il potere, ma ben presto si è posto l’obiettivo di scalzare gli altri due, cominciando da Sallustio. Questo giovane era fidanzato di una fanciulla della famiglia Marcheselli. Si dice che Roberto lo abbia segretamente fatto uccidere, gettando poi il cadavere sopra un mucchio di letame presso la casa dell’amata, facendovi trovare anche la spada insanguinata e incolpando dell’assassinio Giovanni Marcheselli.
Il fatto ha determinato un grande subbuglio, tanto che Giovanni, mentre veniva portato in carcere, è stato ucciso dalla popolazione in tumulto, che ne ha trascinato orrendamente il corpo per le strade della città. Roberto così ha potuto liberarsi in un sol colpo di due persone scomode. Successivamente ha posto ai margini anche Isotta ed ha assunto in proprio il potere su Rimini, riuscendo a recuperare gran parte del territorio che suo padre Sigismondo aveva perduto.
Roberto governerà fino alla morte, avvenuta nel 1482, lasciando poi il vicariato al figlio Pandolfo (Pandolfaccio), ultimo Malatesta al governo della città.
Ma tornando al vicolo Levizzani, merita sottolineare un ultimo dettaglio: agli inizi del Novecento – nonostante la sua denominazione ufficiale – era conosciuto popolarmente come l’ “andròn dla Naneina”, mostrando ancora una volta quanti diversi appellativi ha ricevuto nel tempo.
Oreste Delucca