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Milton Glaser e Rimini, così andarono le cose

I giornali in questi giorni riportano con rilievo la notizia della morte di Milton Glaser, il grafico americano forse più famoso perché inventore del “logo” più famoso: “I love NY” con un cuore rosso al posto della parola “love”. Logo imitato in mille modi che resta come pietra miliare nella grafica pubblicitaria. Pochi ricordano però che Glaser dedicò la sua creatività a Rimini, in un lontano 1995 o ’96, disegnando il primo dei manifesti che poi per molti anni celebreranno le estati riminesi. Ecco come andarono le cose.

Pietro Arpesella, ansioso di aprire nuovi mercati, convinse un tour operator statunitense, specializzato nei viaggi in Italia, a visitare il Grand Hotel e Rimini. Ne conseguì una cena in albergo a cui fu invitato il Sindaco di allora, insieme a Piero Leoni che dirigeva l’Azienda speciale Rimini Turismo. Fra un tagliolino alle canocchie e un branzino al sale si cominciò a delineare un interesse del TO per un prodotto dedicato al mercato USA che fu provvisoriamente definito come “Rimini–base Italia”, sfruttando la qualità dei nostri migliori alberghi, i prezzi molto competitivi con Venezia, Firenze e Roma e, in particolare, la posizione baricentrica di Rimini rispetto alle grandi città d’arte italiane, raggiungibili in poche ore di viaggio. Incidentalmente Jo Berardo, così si chiamava il TO, ci parlò della sua amicizia con l’ebreo di origini ungheresi Milton Glaser e con Martin Scorsese, coltivata nell’ambito di una rete di amicizie fra immigrati.

Lì scattò la scintilla. Piero Leoni pensò ad un manifesto per Rimini, il Sindaco in particolare pensò al rapporto fra Scorsese e Fellini e alla nascente Fondazione. Qualche anno dopo infatti Scorsese venne a Rimini per ricevere il Premio Fellini.

Milton Glaser non sapeva molto di Rimini, a mala pena ne conosceva la posizione sulla carta geografica, perciò prima di accettare l’incarico pretese un ampio dossier storico e fotografico sulla città, con dei focus particolari sulle origini romane e sul Tempio Malatestiano.

Era il momento in cui Rimini, dopo la tragedia della mucillagine del 1989, stava tentando la “rotazione” da città puramente balneare, a città produttrice di turismo per tutto l’anno. Ciò comportava una valorizzazione della sua storia e dei suoi testimonial più importanti; di questa “vision” (come si direbbe oggi), si parlò a lungo con Glaser.

Dopo neppure un mese arrivò il bozzetto del manifesto, semplice e geniale nello stesso tempo: l’azzurro del mare, il giallo della spiaggia, una palla colorata e, nel campo giallo, una grande scritta “RIMINI” in forti caratteri romani per indicarne l’origine storica ma anche la potenza economica di capitale turistica a tutto campo.

Ed ecco il tocco tipico dell’umorismo ebraico dell’autore: la “M” si distacca dall’ordinata fila delle lettere romane e scende in acqua per bagnarsi i piedi. Come se la “gravità” delle lontane origini romane, con tutto il peso della storia, non sapesse resistere al richiamo delle (finalmente) limpide acque dell’Adriatico.

Meno fortunata fu l’esperienza del prodotto turistico “Rimini base Italia”, perché l’arretratezza delle infrastrutture ferroviarie e stradali di allora e un certo scetticismo delle imprese riminesi, non ne favorirono il successo.

Giuseppe Chicchi

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