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I messaggi del Presidente Mattarella e di Papa Francesco per il 40esimo Meeting

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato alla Presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, Prof.ssa Emilia Guarnieri, un messaggio:

« Il “Meeting per l’Amicizia fra i Popoli” compie quarant’anni e offre, ancora una volta, alla comunità di cui è espressione e all’intera società italiana, una preziosa occasione di incontro, di scambio di esperienze e di crescita culturale.
In apertura di questa nuova edizione, desidero anzitutto rivolgere agli organizzatori l’augurio che, nella consapevolezza del valore del traguardo raggiunto, si continui ad alimentare l’impegno per affrontare le sfide dei tempi nuovi.
Saluto con cordialita’ i tanti volontari, giovani e meno giovani che accompagneranno, da protagonisti, gli eventi in programma.
Il titolo scelto per il quarantennale – «nacque il tuo nome da ciò che fissavi» – induce alla riflessione sull’umanità dell’uomo, sulla relazione necessaria con l’altro, sul formarsi della comunità, sul dialogo incessante tra la fede personale e la storia. Attorno a noi i cambiamenti sono sempre più rapidi. Straordinarie opportunità ci vengono offerte e altre lo saranno molto presto. Nel contempo, però, si presentano inedite ingiustizie, povertà, egoismi, insicurezze, minacce al valore della pace.
E’ necessario affrontare il nuovo con coraggio, senza nostalgie paralizzanti, conservando sempre spirito critico e apertura a chi ci è prossimo.
Ripartire dalla persona è un percorso di crescita e di liberazione a cui siamo continuamente richiamati. In questo percorso ciascuno deve saper trovare il senso e il valore della comunità, anzi deve contribuire a costruirlo tessendo i fili umani della solidarietà.
Il meeting è stato nella sua storia animatore di dialogo e l’augurio è che in questo importante anniversario trovi ulteriore impulso per rendere servizio alla società.»

Il Messaggio del Pontefice

Il tema scelto quest’anno è tratto da una poesia di San Giovanni Paolo II, riferita alla Veronica, che si fa largo tra la folla per asciugare il volto di Gesù sulla via della croce: «Nacque il tuo nome da ciò che fìssavi» (K. Wojtyla, «III. Il nome», in Id., Tutte le opere letterarie, Milano 2001, 155). Il Servo di Dio don Luigi Giussani commentava così tale verso poetico: «Immaginiamoci la folla, Cristo che passa con la croce, e lei che fissa Cristo e si apre un varco nella folla guardandolo. Tutti la guardano. Lei che non aveva volto, era una donna come le altre, ha acquistato nome, cioè volto, personalità nella storia, per cui la stiamo ancora ricordando, per ciò che fissava. […] L’amare è affermare l’altro» {La convenienza umana della fede, Milano 2018, 159-160).

«Fu guardato e allora vide; […] se non fosse stato guardato, non avrebbe visto» (S. Agostino, Discorsi, 174, 4.4), dice sant’Agostino a proposito di Zaccheo. Questa è la verità che la Chiesa annuncia all’uomo da duemila anni. Cristo ci ha amato, ha dato la sua vita per noi, per ciascuno di noi, per affermare il nostro volto unico e irripetibile. Ma perché è così importante che oggi risuoni di nuovo questo annuncio? Perché tanti nostri contemporanei cadono sotto i colpi delle prove della vita, e si trovano soli e abbandonati. E spesso sono trattati come numeri di una statistica. Pensiamo alle migliaia di individui che ogni giorno fuggono da guerre e povertà: prima che numeri, sono volti, persone, nomi e storie. Mai dobbiamo dimenticarlo, specialmente quando la cultura dello scarto emargina, discrimina e sfrutta, minacciando la dignità della persona.

Quanti dimenticati hanno urgente bisogno di vedere il volto del Signore per poter ritrovare sé stessi! L’uomo di oggi vive spesso nell’insicurezza, camminando come a tentoni, estraneo a sé stesso; sembra non avere più consistenza, tanto è vero che facilmente si lascia afferrare dalla paura. Ma allora, che speranza ci può essere in questo mondo? Come l’uomo può ritrovare sé stesso e la speranza? Non può farlo solo attraverso un ragionamento o una strategia. Ecco allora il segreto della vita, quello che ci fa uscire dall’anonimato: fissare lo sguardo sul volto di Gesù e acquistare familiarità con Lui. Guardare Gesù purifica la vista e ci prepara a guardare tutto con occhi nuovi. Incontrando Gesù, guardando il Figlio dell’uomo, i poveri e i semplici ritrovavano sé stessi, si sentivano amati nel profondo da un Amore senza misura. Pensiamo a quando l’Innominato de I promessi sposi si trova davanti al cardinale Federigo che lo abbraccia: «L’Innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: “Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora» (A. Manzoni, I promessi sposi, Milano 2012, 481). Anche noi siamo stati guardati, scelti, abbracciati, come ci ricorda il profeta Ezechiele nella stupenda allegoria della storia d’amore con il suo popolo: «Eri figlia di stranieri, eri stata messa da parte; ma sono passato e ti ho pulito e ti ho preso con me» (cfr Ez 16). Anche noi eravamo “stranieri”, e il Signore è venuto, ci ha dato una identità e un nome.

In un’epoca dove le persone sono spesso senza volto, figure anonime perché non hanno nessuno su cui posare gli occhi, la poesia di San Giovanni Paolo II ci ricorda che noi esistiamo in quanto siamo in relazione. Papa Francesco ama sottolinearlo riferendosi al Vangelo della vocazione di Matteo: «Un giorno come qualunque altro, mentre era seduto al banco della riscossione delle imposte, Gesù passò e lo vide, si avvicinò e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò, lo seguì. Gesù lo guardò. Che forza di amore ha avuto lo sguardo di Gesù per smuovere Matteo come ha fatto! Che forza devono avere avuto quegli occhi per farlo alzare! […] Gesù si fermò, non passò oltre frettolosamente, lo guardò senza fretta, lo guardò in pace. Lo guardò con occhi di misericordia; lo guardò come nessuno lo aveva guardato prima. E quello sguardo aprì il suo cuore, lo rese libero, lo guarì, gli diede una speranza, una nuova vita» (Omelia, Plaza de la Revolución, Holguin [Cuba], 21 settembre 2015).

E questo che rende il cristiano una presenza nel mondo diversa da tutte le altre, perché porta l’annuncio di cui – senza saperlo – più hanno sete gli uomini e le donne del nostro tempo: è tra noi Colui che è la speranza della vita. Saremo “originali” se il nostro volto sarà lo specchio del volto di Cristo risorto. E questo sarà possibile se cresciamo nella consapevolezza a cui Gesù invitava i suoi discepoli, come quella volta dopo averli inviati in missione: «I settantadue tornarono pieni di gioia» per i miracoli compiuti; ma Gesù dice loro: «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (cfr Le 10,20-21). Questo è il miracolo dei miracoli. Questa è l’origine della gioia profonda che niente e nessuno ci può togliere: il nostro nome è scritto nei cieli, e non per i nostri meriti, ma per un dono che ciascuno di noi ha ricevuto con il Battesimo. Un dono che siamo chiamati a condividere con tutti, nessuno escluso. Questo significa essere discepoli missionari.

Il Santo Padre Francesco auspica che il Meeting sia sempre un luogo ospitale, in cui le persone possano “fissare dei volti”, facendo esperienza della propria inconfondibile identità. È il modo più bello per festeggiare questo anniversario, guardando avanti senza nostalgie o paure, sempre sostenuti dalla presenza di Gesù, immersi nel suo corpo che è la Chiesa. La memoria grata di questi quattro decenni di impegno alacre e di creativa opera apostolica possa suscitare nuove energie, per la testimonianza della fede aperta ai vasti orizzonti delle urgenze contemporanee.”

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