Nel dibattito in corso nel Partito Democratico interviene oggi Maurizio Melucci:
Il 3 marzo vi saranno le primarie del Pd per decidere il segretario. La sfida è a tre: Zingaretti, Martina e Giacchetti. Nei documenti programmatici dei candidati vi è la coscienza seppur con modalità ed intensità diverse della situazione reale del paese e dei problemi per le forze di sinistra in Italia ed in Europa per affrontarli mentre i partiti di destra, spesso quelli più estrema, ottengono ottimi risultati non solo in Italia.
Questo accade perché la destra propone soluzioni semplicistiche apparentemente semplici e praticabili ma in realtà irrealizzabili. Basta guardare le due proposte di punta di Lega e dei 5 Stelle. La Lega punta sulla cacciata dei migranti, cosa impossibile come è stato ampiamente dimostrato. Il Movimento 5 Stelle invece punta sul reddito di cittadinanza, una misura che – se applicata veramente – sarebbe costosissima per le casse dello Stato e presterebbe il fianco ad abusi di ogni tipo. In entrambi i casi, sono irrealizzabili. Ma colpiscono la fantasia e l’immaginazione delle masse, invitandoli a votare per loro. Vengono anche vendute queste proposte come la soluzione di tutti i problemi.
Pensare di contrastare questo populismo di massa con ricette economiche molto spostate a destra, come ha fatto la sinistra in Europa ed in parte in Italia oppure con proposte del passato è semplicemente inutile. Il Partito Socialista Europeo ed il Pd invece di riformare ed innovare il modello socialdemocratico, di fare un discorso di democrazia progressiva, di mettere mano alla costituzione in modo progressivo ha preferito scegliere il modello liberista alla Blair che poi è andato pesantemente in crisi nel 2007 e 2008. Ora in assenza di riferimenti programmatici si pensa di contrastare il populismo ed il sovranismo con la ricerca del leader che alla fine risolve tutto. Non è andata così e non può andare neanche in futuro.
Come è inutile proporre nuovi contenitori politici per riaggregare la sinistra. Ripartiamo dai programmi, dalle proposte, da un radicale cambiamento del nostro rapporto con la società.
Il primo punto è l’Europa. Alle elezioni di maggio la sinistra Europea ci arriva (almeno ad oggi) in ginocchio. Il PSE in questi anni si è caratterizzato per il silenzio sugli argomenti più cruciali: dalla riforma delle istituzioni europee ai migranti all’economia. Al sovranismo e populismo si risponde con più Europa, più scelte comuni, più politica economica comune. Meno frontiere e barriere culturali e più condivisione. Chi pensava che era a portata di mano una soluzione facile alla francese (Macron) si deve ricredere. Macron è a capo di un movimento nazionalista francese, con una salda politica europea. Ma prima c’è la Francia e la situazione anche in quel paese non è semplice per chi governa.
L’altro punto cruciale è l’economia. In questi anni è aumentata la ricchezza di chi era già ricco e sono aumentate le famiglie povere. La redistribuzione del reddito è il “mestiere” della sinistra, da sempre. Su questo punto fondamentale le distanza tra le anime del Pd sono minime. Possiamo dividerci sulla soluzione, (patrimoniale, leva fiscale progressiva ecc..) ma non sulla necessità di affrontare questo dramma del nostro tempo: la povertà in aumento e la ricchezza per pochi. Meno finanza e più economia in Europa. Questo significa parlare di tassazione omogenea, debito pubblico dei singoli Paesi, investimenti.
Economia ed Europa sono i due capisaldi da cui discendono le soluzioni di buona parte dei problemi di cui discutiamo oggi.
Rimane aperto anche in che modo si sta in un partito. Penso che questo congresso possa superare la divisione che ha caratterizzato il Pd negli ultimi anni. Le tre candidature in campo, con quote diverse, in realtà hanno rimescolato le carte e scomposto le vecchie cristallizzazioni.
Rimane una resistenza al cambiamento all’innovazione. La storia della sinistra italiana è andata avanti con innovazione e discontinuità. Chiunque ha fatto politica con responsabilità di primo piano è stato protagonista della discontinuità rispetto al passato e “vittima” della discontinuità rispetto al futuro. Purtroppo nel Pd attuale non viene accettata questa “regola” come nel passato. C’è una parte del gruppo dirigente che pensa che abbia fatto tutto bene, non ha fatto nessun errore e pertanto non vi è necessità di cambiamento. Un segretario regionale del PD di qualche anno fa, dopo aver perso tutte le elezioni si sarebbe dimesso. Ma oggi pare che non vi siano mai responsabilità politiche personali.
Questo è il risultato di un gruppo dirigente che, dopo la rottamazione di Renzi, ha la stessa età politica, al netto di alcuni capi corrente eterni. Ora è evidente che la difesa ad oltranza ed acritica della nostra azione di governo è semplicemente assurda. Se anche fosse vero che abbiamo fatto tutto bene e non lo è, in ogni caso gli italiani hanno giudicato in modo diverso, facendo altre scelte elettorali.
Sinceramente non capisco un gruppo dirigente (almeno una parte) che ha praticato e condiviso la rottamazione di Matteo Renzi non accetti, ora, la discontinuità necessaria per il Pd del futuro. Non è un problema di metodo ma di sostanza. Se il Pd perde le elezioni come il 4 marzo la responsabilità non è di chi ha criticato all’interno ma di chi ha governato. Purtroppo debbo fare riferimenti personali. Il dibattito, in maggioranza e nel Pd negli oltre 10 anni del Sindaco Ravaioli a Rimini, non sono neanche paragonabili all’assenza assoluta di discussione e confronto sulle prospettive della nostra comunità attuali. Nonostante il dibattito, le polemiche, le rappresentazioni caricaturali di alcuni giornali, il sindaco Ravaioli ha passato il testimone della continuità politica (questa è avvenuta per tre elezioni di conferma di Ravaioli e per la quarta l’elezione di Gnassi). Quindi non è un problema di critiche ma di merito. Tutti siamo orgogliosi di ciò che abbiamo fatto quando abbiamo governato ma guardiamo avanti e non al passato. Complicato? Certo anche perché vi è chi parla di discontinuità ma in realtà racconta in modo diverso la continuità di ciò che hanno fatto i predecessori. Ma ci sta.
Alleanze. Non esistono più alleanze politiche di vertice. Io sono rimasto nel Pd nonostante le tante le pressioni per uscire. Ma era sbagliato quel progetto di scissione. I risultati elettorali sono li. Dobbiamo riprendere le alleanze sociali ed economiche. I cosiddetti corpi intermedi (sindacati, categorie economiche e sociali) hanno una funzione strategica nel Paese. Pensare di farne a meno è stato un grande errore. Lo stesso dibattito sui 5Stelle è fuorviante. Una parte dell’elettorato del Pd ha votato 5 Stelle (soprattutto al sud), una parte ha votato Lega (al nord) ed una parte non ha votato. L’obiettivo è riconquistare la fiducia di chi ci ha abbandonato.
Anche chi si è inventato Patto Civico dovrebbe prendere atto che era una operazione di vertice, fatta a tavolino, che non ha portato neanche un voto ma solo il mantenimento di un ceto politico.
Un capitolo lo merita il partito. Sicuramente avremo modo di discuterne. Un partito che si riunisce solo per decidere primarie e poco altro non può reggere.
Per queste ragioni ritengo che la proposta più credibile sia quella di Nicola Zingaretti. La discontinuità (non la rottamazione) è fondamentale. Zingaretti ha voglia di provarci. Ci mette testa e sentimento.
Un ultima considerazione. Se nessuno il 3 marzo ha il 50% dei consensi (spero di no) chi arriva primo alle primarie deve diventare segretario. Se così non fosse il Pd non ci sarebbe più. Almeno per me.
Maurizio Melucci