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Matteo Orfini (Presidente del PD)

Una Costituzione non è solo un testo giuridico, un atto normativo: è, prima di tutto, un atto politico, un atto storico.

A scrivere la nostra Costituzione non fu un sinedrio di costituzionalisti, furono delle forze politiche che avevano sconfitto il fascismo e avevano liberato il nostro Paese. Si cambia la Costituzione se c’è la necessità storica di farlo e noi credevamo e crediamo che quella necessità ci sia, perché serve chiudere l’eterna transizione istituzionale nel nostro Paese come strumento preliminare per rilanciare l’Italia.

Il nostro è un paese che ha pagato carissimo gli anni della crisi, divenendo ancor più diseguale: centinaia di migliaia di persone sono state espulse dai processi produttivi e di conseguenza si sono auto escluse da quelli della rappresentanza. Perché c’è un nesso indissolubile tra soggettività politica e lavoro. La politica e le istituzioni non hanno saputo offrire una risposta a questo dramma e hanno perso credibilità e legittimità. Per questo vota sempre meno gente, perché la politica non è considerata utile a cambiare le cose. Riformare le nostre istituzioni serve a restituire loro la credibilità perduta e a renderle più efficienti, quindi più in grado di offrire le risposte alle grandi questioni che il mondo oggi ci pone dinnanzi.

È agendo – e non, invece, non agendo – che si trova una soluzione, perché il rischio vero sarebbe non far nulla. Noi abbiamo provato a costruire questa risposta sul terreno dell’azione di Governo, delle riforme economiche, delle riforme sociali, la pubblica amministrazione, la giustizia e le tante che abbiamo discusso in aula – ma anche attraverso la riforma delle istituzioni.

Questa riforma è vissuta di un dibattito vero in Parlamento che l’ha modificata profondamente, migliorandola. Oggi presentiamo agli italiani una riforma organica che ci consente di voltare definitivamente alcune delle pagine più controverse dell’ultimo trentennio.
Per anni a sinistra abbiamo dato una lettura della crisi del Paese che considerava l’aumento dei poteri di chi governa come la chiave per risolvere ogni problema. Anche tra noi c’era chi considerava il parlamentarismo un ostacolo. In più di un’occasione abbiamo proposto svolte presidenzialiste o semi presidenzialiste.

La riforma chiude finalmente questo dibattito, confermando l’impianto parlamentare della nostra Costituzione e anzi accentuando il ruolo del parlamento: non un potere in più viene attribuito al presidente del Consiglio mentre la semplificazione dell’assetto istituzionale enfatizzerà il ruolo dell’Assemblea. Come ha detto il Presidente Napolitano: «Noi abbiamo voluto riformare, arricchendola, la nostra democrazia parlamentare» consapevoli che anche in un mondo più complicato, più articolato e più frammentato la forma parlamentare è quella che meglio può includere nella partecipazione democratica i vari pezzi di questa società.

Se vincerà il avremo dunque istituzioni più efficienti, meccanismi di produzione legislativa più agili; Camera e Senato avranno funzioni diverse e finalmente ci sarà una articolazione chiara delle competenze tra Stato e Regioni. Avremo più diritti per le opposizioni in un Parlamento finalmente centrale non solo sulla carta ma nella sostanza.

Su questo si voterà il 4 Dicembre: da un lato un progetto di cambiamento organico ed equilibrato; dall’altro il tentativo di far rimanere tutto com’è oggi.

Matteo Orfini

Presidente del Partito Democratico

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