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Marina di Rimini, Ferretti: “Basta con la caccia alle streghe contro la nautica”

Luigi Ferretti, bolognese, nel 73 anni, imprenditore edile ed editore radiotelevisivo – possiede i network Rete 8 e Italia7 e anche Vga Telerimini – nel 2008 ha acquistato Marina di Rimini. Un’avventura di cui oggi traccia il bilancio e su cui incombono problemi grandi e piccoli.

Luigi Ferretti

Luigi Ferretti

«I problemi principali – spiega Ferretti – sono sempre quelli economici. Quando sono arrivato qui nel 2008, la darsena andava bene, aveva un bel trend in crescita. Nonostante un bilancio non positivo, era interessante per un imprenditore: 400 posti occupati, e crescita del 10% ogni anno. Il che si è verificato, oggi gli ormeggi sono 600. Si potevano fare utili interessanti».

E invece?

«Non è stato così. È intervenuta la crisi, ma quel che è peggio, è arrivato il governo Monti, che alla nautica più disastri di così non ne poteva fare. Poi lo ha riconosciuto lo stesso Monti, ma ormai il danno era fatto. Speriamo solo che un un governo di tecnici non si presenti mai più in Italia. Ma oltre ai problemi generali, ci sono quelli particolari».

Cioè?

«La questione che ci assilla è quella del canone di concessione. In parole povere, quando il Marina di Rimini fu realizzato, era stato stipulato un accordo con lo Stato per un canone era allora era di 90 mila euro, per un concessione di 50 anni; con gli aggiornamenti Istat, oggi saremmo a 100 mila. Poi però è arrivata finanziaria del 2008 di Prodi, che aumentava a dismisura i canoni delle pertinenze demaniali, anche perché in effetti erano bassissimi. Se non che, seguendo un’interpretazione secondo noi del tutto errata, anche noi che siamo un porto stati equiparati a pertinenze demaniali come gli stabilimenti balneari. Risultato, il nostro canone è stato quintuplicato. Da 100 a 500. Una cosa allucinante».

Ma avrete fatto i vostri ricorsi. Com’è andata a finire?

«Che non è ancora finita. Finora in tutte le sedi giudiziarie hanno dato ragione a noi. Adesso siamo davanti alla Corte Costituzionale, la quale ha ravvisato un dubbio di incostituzionalità in quella legge. La sentenza è prevista per il 10 gennaio 2017. E dunque viviamo con questa spada di Damocle sulla testa, che ovviamente ci preoccupa molto. A nostro parere quella pretesa è talmente infondata che non non ci si dovrebbe preoccupare. Ma viviamo in Paese così difficile, è tutto così incerto, nebbioso. Ma se io affitto una casa, firmo un contratto per 100 e poi il proprietario mi chiede 500, c’è da discutere per 8 anni? Con la piccola differenza che se fossi un inquilino di un appartamento, potrei andarmene e tanti saluti. Io che ho una darsena cosa faccio, la porto da un’altra parte?».

E se nemmeno la Corte Costituzionale dovesse sbrogliare la matassa?

«Allora resterebbero solo due strade. Una è il ricorso alla Corte di giustizia Europea. Altrimenti, caro Stato, questo è il tuo porto, ma restituiscimi i soldi che ho messo per costruirla».

E i problemi minori?

«Tante piccole cose, ma che messe tutte assieme diventano grandi. Per esempio, dopo tanti anni di una situazione difficile abbiamo finalmente visto un segno più, cresciamo del 5% (rispetto al 40%). Solo che crescono anche gli insoluti. Ricominci un percorso positivo, ma la gente non paga. E così i conti correnti sono in rosso, facciamo fatica a pagare gli stipendi, a onorare le rate dei mutui, a soddisfare i fornitori. Noi diamo sempre la precedenza agli stipendi del personale; c’è stato un anno che non abbiamo nemmeno pagato le tasse a costo delle inevitabili sanzioni, pur di fare avere comunque la paga a chi lavora. Chi non ha pagato noi, però, per farlo può attendere i tempi della giustizia civile».

Altre cose?

«Un paio sui rifiuti. Noi abbiamo l’obbligo di fronte alla Capitaneria di Porto di pagare la raccolta dei rifiuti, il che ci costa mediamente 30-40 mila euro l’anno. Poi dividiamo per i vari diportisti la spesa e a testa toccano 60, 40 euro. Paga qualcuno? Forse il 10%. E allora cosa si fa? Un’azione legale per 40 euro? E poi, per legge, tutto quello che esce da un porto va smaltito come rifiuto speciale, indipendentemente da cosa è composto. Quindi anziché 50 euro a tonnellata sono 150 euro. Ecco cosa significa stare in Paese difficile».

Ma chi ha la barca non dovrebbe aver problemi a pagare queste cifre…

«Attenzione, perché qui tocchiamo il problema dei problemi».

Quale?

«Lo vogliamo chiamare un problema culturale? Quel certo atteggiamento, generalizzato e non proprio benevolo nei confronti di questo settore? Senza nemmeno voler considerare i cantieri, dove siamo, o eravamo, fra i migliori del mondo. Ma ci pensiamo mai all’indotto che genera un’imbarcazione, anche di piccole dimensioni? Quanti mestieri vi ruotano attorno? Carburanti, falegnami, vetroresina, motori, e ristoranti, e trasporti. Lo dico sempre: la barca non è un investimento. Dal punto di vista finanziario è un disinvestimento. Chi ha la barca, è consapevole di dover affrontare dei costi che non si fermano all’acquisto. E quelle spese dànno lavoro, eccome se lo dànno. Però in Italia contro la nautica c’è la caccia alle streghe perenne».

Ci spieghi..

«Ripeto un intervento che feci in Confindustria e che, devo dire, fu molto applaudito. Dunque, c’è il signor A che ha un milione di euro e se li tiene in tasca; non spende, sta nell’ombra, non appare; non vogliamo pensar male, ma forse fa anche qualche prestito sottobanco: il classico avaro di Moliére, che non si fida nemmeno della banca. Poi c’è il signor B che ha un milione pure lui, ma per sua sfortuna ha anche la passione del mare: spende il milione per comprarsi una barca. E subito dà 220 mila euro di Iva allo Stato. Ma soprattutto, esce dall’anonimato, è come si mettesse una targa sulla fronte. E se non viene trattato come un delinquente, poco ci manca. Deve dimostrare dove ha preso quei soldi, come fa a mantenere quella barca e così via. Ma non solo; c’è anche un signor C che non ha un milione, ma magari solo 3 mila euro, quanto costa una bella bicicletta. Però anche lui ha la maledetta passione del mare, gli piace pescare, o andare a vela,  portare la famiglia in gita. Magari si mette insieme ad altri amici e in società si prendono una piccola imbarcazione da diporto. Ebbene, in Italia, per tutti il signor B è uguale al signor C e soci: gente che ha la barca, quindi presunti nababbi, da tenere d’occhio, da fargli sentire la pressione sul collo. Intanto il signor A sta tranquillo nel suo cantuccio a fregarsi le mani. Ma ragionando così, questo Paese continua a darsi la zappa sui piedi. Siamo nella posizione più bella del mondo, in mezzo al Mediterraneo. E noi che viviamo di turismo, facciamo la guerra in ogni modo a un settore che per il turismo è fondamentale?».

Quindi?

«Quindi questo accanimento assurdo dovrebbe finire. I controlli fiscali, certo che si devono fare. Ma almeno tenendo tutti sullo stesso piano, non presumendo che il possessore di una barca sia automaticamente un individuo sospetto. E poi, vogliamo trovare qualche minima misura di buon senso per sostenere questo settore così strategico? Ma lo vediamo cosa fanno gli altri Paesi, come Francia e Spagna, dove l’Iva per l’ormeggio è al 10% mentre da noi è al 22%? O meglio, ci sarebbe anche da noi un’Iva agevolata, ma dovremmo raccontare un altro paradosso».

Il paradosso lo spiega Gianni Sorci, che di Marina di Rimini è il direttore:

«Diverse Regioni, fra cui l’Emilia Romagna, hanno fatto buone leggi secondo le quali le darsene a determinate condizioni possono essere considerate resort turistici, quindi con Iva agevolata al 10%. Ma poi sono scoppiate le contraddizioni. A parte che ogni Regione ha fatto un po’ a modo suo, come la Liguria dove i soggiorni in resort non possono durare più di 45 giorni all’anno, mentre da noi, giustamente, si arriva ai dodici mesi. Quel che è peggio, è poi è intervenuta una legge statale per stabilire che l’Iva agevolata si può applicare solo ai turisti che pernottano in barca. Un paletto che non si capisce bene in che modo e fino a che punto possiamo applicare. Quindi noi la stiamo utilizzando fondamentalmente per i transiti e solamente nel periodo estivo. Però, come un albergo, dobbiamo far pagare la tassa di soggiorno ed effettuare le debite segnalazioni di Polizia. Il Friuli, ad ogni buon conto, su questi resort non fa pagare la tassa di soggiorno né richiede segnalazioni di Polizia. Da noi invece siamo arrivati a questa situazione: abbiamo dovuto delimitare la zona che è resort per dividerla da quella che non lo è, anche se sempre di ormeggi al molo si tratta. Dove non c’è resort, il tagliandino di Polizia non si deve fare e va registrato solo il nome del comandante, l’Iva è al 22% e non si paga tassa di soggiorno. Se si ormeggia al resort, anche per solo un giorno, si paga l’Iva agevolata al 10%, ma anche la tassa di soggiorno: e alla fine i costi sono pressoché identici. Da parte nostra, per registrate tutte le persone occorre più tempo e dunque più personale. Ed ecco il destino di una buona idea in Italia».

Stefano Cicchetti

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