Vero. Non è una novità che il Partito Democratico si guardi l’ombelico, ma in epoca di pestilenze è più grave del solito, nei due livelli: nazionale e locale. Con le donne per la discriminazione di genere femminile nel Governo Draghi che però sono pronte a lasciarsi lottizzare coi sottosegretariati per pareggiare il conto, anziché fare mea culpa per non aver saputo accrescere la cultura dei meriti e delle competenze femminili, quelle alte, che andrebbero sostenute con orgoglio di appartenenza al genere. Tali e tante affinché siano realmente e abitualmente in competizione con gli uomini di partito, anziché dare ruolo solamente a yeswoman e ancelle… un problema tra i peggiori dentro il Pd che non vale solamente per le donne. La realtà è che la competenza è un deterrente rispetto alla connotazione di uomo e donna cresciuti al servizio del partito, avvezzi al servilismo acritico. Ed è anche la Conferenza delle Donne che in questi giorno alza la voce con i trenini corporativi delle preferite tra loro (brutta copia della commissione femminile del Pci del secolo scorso per chi ne ha ricordo) ad accorgersi del gap sempre e solo in fase di nomina e/o elezioni nel conteggio dei posti in quota rosa, comunque correntizi e spartiti col bilancino.
Glocal, appunto. A Rimini adesso questa stucchevole diatriba, per i due contendenti, che novità eh?! Anche da noi c’è chi la butta sul femminismo, ma vogliamo parlarne, chi quando, come e perché si rincorre il voto femminile solamente in funzione all’utilità elettorale? Chiedo scusa per l’autocitazione, chi lo dice è l’unica candidata a sindaco di una lista tutta al femminile, seconda elezione Ravaioli 2001. La differenza? Allora c’era in ballo l’ideale: la nostra era una testimonianza autentica, di libertà e autodeterminazione, ancora come tra le donne della rivoluzione nonviolenta negli anni ’70, quella delle conquiste vere, fuori dalle istituzioni, poiché il collante politico è stato la sorellanza non il potere.
Mentre ora gli ideali sono una merce rara. Prevenire è meglio che curare. Tutti sapevano tutto, da tempo. Quando due contendenti contrapposti sono già scesi in campo per la candidatura a Sindaco di Rimini, si rilasciano appelli su appelli all’unità. Quale unità, se non si hanno le capacità per costruirla? Forse perché in politica si “auspica” anziché agire assumendosi qualsiasi responsabilità, tanto da dover chiamare i tecnici a dirigere il Bel Paese? Un insulto a noi cittadini/elettori che li abbiamo messi lì a prendere decisioni al posto nostro. Invece tutti in ordine sparso, auspicano ancora, coi loro clan di riferimento, bla bla, bla bla. Dal presidente di provincia, ai segretari Pd comunale e provinciale che nulla hanno fatto finora per evitare conflitti, mentre tifoserie agguerrite si organizzano: da Nadia Urbinati al resuscitato Cesare Mangianti, e ne siamo certi, è lì lì per arrivare anche il mantra che già anni fa ripetevano a iosa i Giovani e puri Democratici nelle Direzioni Pd, “… per favore, non litigate”. E giù applausi dagli anziani. E’ con dispiacere che devo ammetterlo: lo spettacolo è indecoroso.
Manuela Fabbri