Fino al 30 gennaio, nel sottopassaggio di Palazzo Re Enzo a Bologna, è ancora possibile visitare la mostra curata dall’Institut Lumière che per la prima volta varca i confini della Francia: Lumière! L’invenzione del cinematografo. Le vicende dell’ormai mitica famiglia che ha inventato il cinema, raccontate nel loro svolgersi fatto di sudore, e non di illuminazioni improvvise.
Chiamamicittà.it l’ha visitata per voi e vi propone un’organica chiave di lettura, nella speranza di incuriosirvi prima che sia troppo tardi.
Cosa sia stata davvero l’invenzione del cinema, noi uomini del XXI secolo, non potremo mai realizzarlo: è questa la premessa necessaria ad un approccio lucido e consapevole a questa esposizione, che ripercorre una delle ultime fasi storiche in cui l’uomo sapeva ancora meravigliarsi di se stesso. Oggi non ci meraviglia più nulla: neanche l’avvento di Internet, del digitale, degli smartphone e di tutte le nuove frontiere della tecnologia riescono a farci trattenere il respiro, e a farci spalancare le palpebre dallo stupore. I frutti della tecnica ci sembrano quasi dovuti, come caduti necessariamente da un albero; ci scomodiamo giusto di raccoglierli, quasi con disappunto per lo sforzo. Mai ci chiediamo come l’uomo sia giunto a tali conquiste, lo diamo per scontato: è più facile, non serve sudare.
Antoine Lumière, pittore e fotografo, e i due suoi figli Louis e Auguste, invece, non davano mai per scontati i propri successi e i propri fallimenti. Louis, appena diciassettenne, inventò la famosa Etiquette Bleue: una lastra fotografica molto sensibile, che consente per la prima volta di fissare e riprodurre il movimento. E già nel 1884 lo stabilimento dei Lumière è la prima industria fotografica d’Europa, con più di 250 dipendenti. Sarà di nuovo Louis ad inventare il Cinématographe: per la prima volta tutti poterono ammirare immagini in movimento da tutti i luoghi del pianeta. La rivoluzione di quei primi cortometraggi sta nel fatto che protagonisti diventano uomini e donne comuni, le città, i paesaggi di tutti i Paesi del mondo, dall’Africa più remota agli USA più industrializzati: l’aspetto più feriale ed umile del quotidiano si trasforma, ora, in un vero e proprio sogno ad occhi aperti. Dal 1896 il cinematografo restituisce la realtà alla realtà: i Lumière sono infatti gli ultimi inventori, ma allo stesso i primi autori e programmatori del cinema.
Tutto ciò che non si può spiegare va narrato. Dal Novecento in poi, però, la letteratura non è più autosufficiente, e le immagini hanno preso il sopravvento. Sono passati diversi decenni, eppure le arti dominanti del nostro tempo sono ancora la fotografia e il cinema, filtrate magari dai social network. Chissà cosa avrebbero fatto gli scrittori del secolo scorso, così a corto di parole, se avessero avuto in mano strumenti come Instagram! Le immagini suscitano ancora oggi un fascino particolare, e il motivo penso sia soprattutto questo: siamo stanchi di ogni mediazione, tutto ci sembra faticoso, e tutto ci appare come pesante specie se articolato in forma organica e quindi complessa: roba da accademici e radical chic, insomma.
Vistare questa mostra diventa allora molto interessante, perché la sensibilità moderna penso nasca proprio dalle sperimentazioni dei fratelli Lumière: un’ingenuità magnetica, che fa della grigia realtà una magia irresistibile. Come scrive il regista Maurice Pialat, «quel che accade, con Lumière, è una sorta di miracolo. Lumière, come realista, è campione in ogni categoria. Eppure io trovo che i suoi film appartengano al fantastico. Quel fantastico che dovrebbe essere di tutti i film, ma che dopo Lumière non c’è stato più. Si è logorato, si è usurato, perché, dopo, tutto è stato trucco. Il cinema di Lumière mostra la vita come non si era mai vista… […] Lumière non è realista, il suo è il regno del miracolo. E tuttavia, i suoi film sono la realtà, per la prima volta. Un’ingenuità e una purezza che, dopo di lui, si sono perdute».
Edoardo Bassetti