Ho chiesto a Eduard Limonov: ma Lei è un provocatore di professione? Risposta amletica: “Non ho mai fatto nulla per calcolo”, ma poi nel corso dell’incontro tenutosi al Teatro degli Atti l’altro ieri si è meglio capito cosa intendesse. “Non amo l’intellighentia. I suoi membri difendono posizioni vecchie. Pochi hanno idee nuove. Possiamo vivere senza di loro”. “La politica russa è piena d’idioti”. “L’odio è un sentimento necessario”.
Una ragazza gli ha chiesto quale potrà essere il giudizio dei posteri su di Lui. Risposta: “non me ne frega niente. Potranno scrivere tutto quello che vorranno. Io non ci sarò”.
Insopportabile, estremista, avventuriero e tanti altri aggettivi pesanti potrebbero essergli addebitati, ma anche affascinante provocatore intellettuale. A Rimini è stato tutto questo.
Nato a Dzeržinsk in Russia nel 1943, si trasferì a Mosca nel 1967 e qui si conquistò una certa fama di poeta d’avanguardia a cavallo fra gli anni ’60 e ‘70. Nel 1974 si trasferì a New York, poi a Parigi nel 1982 dove ottenne la cittadinanza francese nel 1987 (revocata nel 2011). Rientrò in Russia nel 1991, dopo la caduta dell’URSS, e si diede da fare in politica: nel 1992 fondò il Partito Nazionale Bolscevico (NBP) con Aleksandr Dugin, uscito ancora più a destra nel 1998 (recentemente salito all’onore delle cronache sui giornali italiani), un misto di destra e sinistra (o come qualcuno dice fascio-comunista) tinto da una fortissima vena personalistica.
Osteggiò più volte le scelte politiche di Vladimir Putin, tanto che gli organismi russi nel 2007 misero questo partito al bando. Negli anni ’90 sostenne i serbo-bosniaci nella guerra civile jugoslava e, si narra, che combattè al loro fianco in una squadra di cecchini. Nel 2001 Limonov venne arrestato con l’accusa di terrorismo e traffico d’armi e condannato a quattro anni di carcere (però ne scontò solo due): “Il carcere per me è stato come un monastero. A me è piaciuto starci. Ho detto adesso vivo qui, e mi sono messo a vivere, anche in carcere”. A Rimini ha detto che “le uniche persone interessanti le ho conosciute in guerra, in prigione, nell’immigrazione”. Dopo lo scioglimento del NBP fondò “L’Altra Russia” e si alleò con l’ex campione di scacchi Garri Kasparov per contrastare Putin. Sostiene attualmente la posizione russa nella guerra in Ucraina sul Donbass.
Limonov è in Italia invitato dal suo editore Sandro Teti (figlio di Nicola che negli anni ’80 pubblicò Breznev, Cernenko, Zagladin ed anche Longo e i libri di altri dirigenti del PCI) ed ospite a Rimini del quotidiano culturale Pangea diretto da Davide Brullo per presentare il volume “Il boia”. Scritto nel 1982, fu edito a Parigi per la prima volta nel 1986 e in Russia nei primi anni ’90, raggiungendo la tiratura di un milione di copie. Un’opera di stampo sadomasochistico che “descrive in modo crudo e dettagliato le pratiche sessuali estreme e gli istinti ferini dei protagonisti di quel carnevale che era la New York del 1980”. Ma è “anche un potente romanzo giallo”. In esso si racconta l’ascesa sociale di un immigrato polacco negli Stati Uniti, in un delirio sessuale che mette alla gogna la follia del nostro tempo.
Del libro in questione a Rimini se ne è però parlato poco. Limonov ha chiesto, più volte, che gli fossero fatte domande sulla politica e non sulla trama del libro. Lui ha affermato di aver scritto 81 libri, ma in Italia ne sono stati tradotti solo 5 o 6. Ha sostenuto che quando il libro uscì nel 1991 in Russia non ebbe problemi: “Eltsin se ne fregava della cultura”. Nel parlare dell’ambientazione americana del romanzo sull’America Limonov si è così espresso: “Gli Stati Uniti sono un tranquillo e ben organizzato inferno. Erano, sono e rimarranno un paese pericoloso, molto aggressivo. Sullo scenario internazionale non sono pericolosi la Russia e la Cina, ma gli Stati Uniti”.
Sulla Russia: “L’URSS si è suicidata. A distanza di 28 anni è del tutto evidente. Putin è il Presidente dei ricchi, ma nel corso degli anni ha ripreso diverse mie posizioni: avevo previsto quindici anni prima che la Crimea doveva ritornare russa; avevo sostenuto molto tempo fa che bisognava intervenire in Ucraina per difendere la popolazione russa. Va ricostituito il mondo russo: fuori dalla Russia ci sono 27 milioni di cittadini che parlano russo e per me l’uso della lingua russa è determinante per dire che quelli sono cittadini della Russia”.
Nel 2012 è uscito in Italia per Adelphi la biografia romanzata di Limonov scritta dal francese Emmanuel Carrere, che ha contribuito alla costruzione del suo mito scrivendo di un poeta spiritato, di un teppista di strada, di un oppositore del capitalismo, di un teorico ibrido e casinista. Ha scritto di Lui Carrere: “Teppista in Ucraina; idolo dell’underground sovietico; barbone e poi maggiordomo di un miliardario a Manhattan; scrittore alla moda a Parigi; soldato perduto nei Balcani; e ora, nell’immenso bordello del post comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di desperados”.
Di questo libro e del suo autore a Rimini Limonov ha detto: “Un ragazzetto borghese, che si è inventato gran parte della mia biografia. Mi ha descritto in modo distorto, ma non lo critico perché mi ha reso un grande favore”. Un volume bestseller in molti paesi del mondo che ha aumentato a dismisura la fama equivoca di Limonov.
Gli è stato chiesto: che tipo di Russia vorrebbe? “Quella che si adegui alle mie idee politiche”. Che dio ce ne scampi, di casino nel mondo ce ne è già a sufficienza.
Paolo Zaghini