L’Hotel Smart di Riccione, bene confiscato alla criminalità organizzata, è al centro della cronaca provinciale e Libera Rimini entra così nel dibattito per portare la propria visione della vicenda.
“Nel 1996 dopo una lunga battaglia e la raccolta di più di un milione di firme, Libera Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie riuscì a portare in parlamento una proposta di legge, che prevede il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata – spiega Libera -. Nasce così la Legge 109, la quale il 7 marzo di quest’anno ha compiuto 25 anni. In provincia di Rimini, il comune di Riccione presenta la maggior parte dei beni confiscati sul territorio: 26 particelle, tra beni destinati e in gestione (fonte: www.openregio.anbsc.it). Al centro della cronaca riminese da una settimana c’è un albergo confiscato ed entrato nel patrimonio indisponibile del Comune di Riccione: l’Hotel Smart. La struttura alberghiera è stata messa a bando nel 2019 dall’Amministrazione riccionese, ma senza aver ricevuto risposta”.
“Il coordinamento provinciale riminese di Libera aveva tentato un coinvolgimento nella scelta di destinazione nel 2019, cercando di comprendere le scelte dell’Amministrazione e accompagnare il bene nella restituzione alla collettività. Il costo di ristrutturazione dello stabile monta a tre milioni di euro. Per questo la sindaca Renata Tosi, dopo la firma del nuovo Protocollo dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata, del quale fa parte dalla sua nascita, ha comunicato alla cittadinanza la scelta di abbattere il gigante di sette piani per realizzare un parcheggio. Questo per evitare che l’edificio pesi sulle spalle dei cittadini restando inutilizzato”.
“I beni confiscati alla criminalità organizzata – dice Mercedes Nicoletti, referente del coordinamento provinciale di Libera – nel momento in cui vengono sequestrati divengono patrimonio collettivo e sono strumenti essenziali per il contrasto alle mafie per un territorio. Questi beni, che siano mobili o immobili, potrebbero divenire motore di sviluppo economico e sociale anche per la nostra provincia”. La gestione dei beni confiscati è una questione ancora spinosa per il nostro Paese. Troppo spesso i beni affrontano un iter che dura decenni, come già successo sul nostro territorio, prima di arrivare nelle mani dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati (ANBSC), e in seguito in quelle dei comuni di appartenenza. Dal dossier “Fattiperbene”, realizzato dall’associazione Libera, sono 36.616 i beni immobili confiscati dal 1982 a oggi, e di questi 17.300 sono stati destinati a consegnati all’Agenzia nazionale per finalità istituzionali e sociali. Gli altri 19.300 sono ancora da destinarsi perché presentano difficoltà e irregolarità urbanistiche. “Sappiamo che per un comune è una grande responsabilità decidere il futuro di un bene confiscato, soprattutto su quello di una struttura alberghiera, e siamo convinti che quando necessario questi possano essere anche abbattuti.” – continua Nicoletti – . Anche Nicola Gratteri, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria ha espresso durante un incontro pubblico la sua opinione su questa tematica: “[…] se questi sono a norma, la procedura per la loro consegna deve essere snellita, ma se questi beni sono danneggiati e devono essere ristrutturati allora vanno abbattuti”.
“Per la difficoltà che si affronta nell’affrontare l’iter di confisca, e per l’importanza di questi beni come patrimonio comune crediamo che si debba istituire un tavolo di confronto prima di prendere qualsiasi decisione.” – conclude la coordinatrice.
Per questo l’associazione antimafia appoggia la proposta, avanzata dalla Cgil di Rimini, di istituire un coordinamento territoriale che veda il coinvolgimento delle istituzioni, delle associazioni, delle organizzazioni sindacali, e delle associazioni dei datori di lavoro. Un bene confiscato diviene bene comune, e per questo dovrebbe prevedere il coinvolgimento della cittadinanza e di chiunque se ne voglia interessare. Libera vede in questo albergo l’occasione per tentare di costruire un modello di sviluppo che potrebbe portare lavoro e opportunità, soprattutto per i giovani, i quali dovrebbero essere chiamati ad essere protagonisti in un percorso di rivalorizzazione del proprio territorio.
In Italia ci sono numerose testimonianze di beni confiscati ristrutturati e rigenerati attraverso diversi Fondi messi a disposizione dall’Unione Europea, dalle prefetture e dall’ANBSC. La Masseria Bongiovanni ne è un esempio. Questo bene confiscato alla mafia rientra fra gli immobili affidati in concessione gratuita per 20 anni, in questo caso alla Caritas diocesana del comune di Caltagirone, sarà ristrutturata con i fondi Pon legalità (oltre un milione e 300 mila euro). Ma forti testimonianze provengono anche dalla nostra regione, dalla riqualificazione finanziata dalla Regione per il bene confiscato a Calendasco (PC), alla presa in gestione di Villa Celestina a Bologna.