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La vera storia di Fratelli d’Italia, l’inno dei veri patrioti

In queste ultime settimane abbiamo letto tutti le dichiarazioni di Giorgia Meloni, leader dei “Fratelli d’Italia”,  in cui auspica che il prossimo Presidente della Repubblica debba essere un patriota.

Secondo il Vocabolario della Treccani patriota è chi ama la patria e mostra il suo amore lottando o combattendo per essa.

Due brevi riflessioni: l’amore di patria, nel suo più nobile significato, è, in primo luogo, l’amore della libertà di un popolo. E proseguirei dicendo che amare la patria italiana, se le parole hanno ancora un senso, vuol dunque dire difendere la vita, la libertà e la dignità degli italiani. Giorgia Meloni è l’erede di una storia e di un partito di cui difficilmente si può dire che i patrioti italiani siano stati amati. Ha scritto Maurizio Viroli su Il fatto quotidiano del 17 dicembre: “Li ha massacrati, li ha gettati ingiustamente in carcere, li ha costretti all’esilio, li ha privati delle fondamentali libertà politiche e civili, li ha mandati a morire in vergognose guerre coloniali, ha chiuso in campi di concentramento gli italiani di religione ebraica, ha fatto combattere i militari italiani a fianco di un criminale come Hitler, ha scatenato la guerra civile”. Non a caso durante la seconda guerra mondiale furono così chiamati invece i partigiani che combatterono e sconfissero i fascisti.

Questa premessa per introdurre la presentazione del piccolo libro che Stefano Pivato ha voluto dedicare alla nascita e alla affermazione dell’inno nazionale “Fratelli d’Italia” (Garzanti, 2021). Scritto dal poeta Goffredo Mameli (1827-1849) e musicato da Michele Novaro (1818-1885) nel 1847. Mameli, patriota repubblicano, cadde il 6 luglio 1849, a soli 22 anni, combattendo in difesa della Repubblica romana. Amico di Giuseppe Mazzini, un “convinto assertore del ruolo che la musica può rivestire come trascinatrice delle idealità repubblicane (…) Sostiene la necessità di una musica che agisca sulle coscienze dei cittadini influenzandone l‘emotività e contribuendo al potenziamento degli ideali di un rinnovamento civico e politico”. Però “Il canto degli italiani”, noto a tutti come “Fratelli d’Italia” , è divenuto l’inno ufficiale della nostra Repubblica solo nel 2017, centosettanta anni dopo la sua prima stesura.
Pivato ci narra del difficile percorso che questo inno dovette compiere per arrivare a questa ufficializzazione con la legge 181 del 4 dicembre 2017.

Nel 1861, al momento della proclamazione del Regno d’Italia, è la “Marcia reale” a essere elevata al rango di inno nazionale, scritta dal compositore e direttore d’orchestra Giuseppe Gabetti (1796-1862) fra il 1831 e il 1834. E lo rimarrà fino al referendum (Repubblica si o no) del 2 giugno 1946 e l’esilio di re Umberto II.

“La ‘Marcia reale’ e ‘Il canto degli italiani’ viaggiano su binari paralleli, quasi a esprimere le due principali ispirazioni del Risorgimento. Se la marcia del capobanda Gabetti continua a essere suonata nelle occasioni ufficiali, i versi di Mameli sono invece cari a quanti non si riconoscono nell’epilogo moderato del periodo risorgimentale”. Per tutto l’Ottocento “Fratelli d’Italia” venne considerato troppo radicale per gli ambienti monarchici e conservatori, ma eccessivamente moderato per anarchici e socialisti. E non è che con l’avvento del fascismo l’inno si affermò molto di più. La “Marcia reale” continuò ad essere l’inno ufficiale, affiancata nelle manifestazioni da “Giovinezza”, inno ufficiale del Partito nazionale fascista.

Sul finire della Seconda Guerra Mondiale “Fratelli d’Italia” è suonato sia dai fascisti repubblicani di Salò “per dar fiato agli ideali repubblicani che accompagnano gli ultimi sussulti del fascismo”, ma entra a far parte anche dei canzonieri della lotta partigiana. Il 12 ottobre 1946 Cipriano Facchinetti, esponente del Partito repubblicano e Ministro della Difesa nel quarto governo De Gasperi, comunicò che a partire dal 4 novembre “Il canto degli Italiani” sarebbe divenuto l’inno nazionale.

Inno nazionale si, ma poco amato sino al suo rilancio operato da parte del decimo Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi alla fine degli anni ’90. Il 7 dicembre 1999 Riccardo Muti si rifiutò di dirigere l’inno nazionale in occasione dell’apertura della Stagione della Scala. Ma l’anno successivo, il 17 novembre 2000, Muti aprì1 le celebrazioni del centenario verdiano alla presenza di Ciampi con l’esecuzione dell’inno “di fronte ad un pubblico in piedi ad applaudire”.

Col nuovo millennio “Fratelli d’Italia”, grazie anche a Ciampi, divenne veramente l’inno nazionale. Disse il Presidente Ciampi più volte: “quando lo ascolti sull’attenti, ti fa vibrare dentro; è un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisioni, di umiliazioni”. E tradusse questa spinta anche verso il mondo sportivo chiedendo che venisse cantato dagli atleti, sancendo nel 2006, in occasione del trionfo della nazionale di calcio ai mondiali, la riconciliazione fra il mondo dello sport e l’inno tricolore.

Ma l’affermazione dell’inno si può dire raggiunta il 17 marzo 2011, in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia quando le sue note risuonarono in ogni angolo del Paese. Affermazione anticipata da Roberto Benigni, il 17 febbraio 2011, sul palco del Festival di Sanremo in sella a un cavallo bianco e sventolando il tricolore al grido di “Viva l’Italia”, che tenne una memorabile lezione-spettacolo di quaranta minuti sul “Canto degli Italiani”.

“Indifferenza e a tratti ostilità hanno caratterizzato il percorso dell’inno fino agli anni più recenti. Contestato e poi osannato, discusso e quindi riabilitato, biascicato e infine cantato a tutta voce: la parabola dell’inno sembra dunque compiuta”.

Possiamo dunque dire che “Fratelli d’Italia” è la colonna sonora che ha accompagnato il processo di unificazione nazionale, questo è il canto che, dando voce alle aspirazioni di un popolo, ha partecipato alla costruzione dell’identità repubblicana del nostro Paese.

Per tornare all’inizio, mi domando allora se la Meloni ritenga che i nostri dodici presidenti della Repubblica non siano stati dei “patrioti”. Ho provato a risponderle attraverso il racconto di Pivato sulla storia dell’inno “Fratelli d’Italia” e sono giunto alla conclusione che, per dirla alla romagnola, abbia detto una emerita patacata.

Paolo Zaghini

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