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La transizione ecologica non è un pranzo di gala

Come si fa ad avere dubbi sul governo Draghi mentre dal mondo si levano lodi al salvatore dell’Italia flagellata dalla pandemia (e da Renzi)?

Eppure nutro dubbi che sono aumentati dopo aver sentito Salvini dire con apprezzabile sincerità più o meno così: “Con tutti i soldi dell’UE a disposizione, la Lega non poteva stare fuori dal Governo Draghi!”.

Provo a spiegare i dubbi (che non sono diminuiti dopo aver letto la lista dei ministri).
Il punto di partenza del ragionamento è legato alla pandemia: ha ucciso milioni di persone, ci ha messo in ginocchio dal punto di vista economico, continua a resistere producendo varianti. Si può pensare che, una volta sconfitto il virus, tutto torni come prima?

E nel lembo del nostro distretto turistico, puntiamo ancora sul nostro bel turismo dei “grandi numeri” o dobbiamo mettere mano a un modello più sobrio?

Se il Covid 19 è una delle tante influenze che l’umanità ha conosciuto, magari un po’ più aggressiva, allora possiamo indugiare su un consolatorio “ritorno al passato” e sulla “continuità”. Se invece scorgiamo nella potenza del virus il “segnale” di qualcosa che si è rotto nei rapporti fra noi e la natura, allora è bene pensare a questa fase come un “passaggio” verso una fase nuova della nostra storia.

Per questi motivi credo che sia corretto utilizzare i fondi europei (debito europeo garantito dagli europei) in gran parte sul terreno della transizione ecologica.

Però occorre attenzione per almeno tre ragioni: a) il capitalismo finanziario e industriale coglierà l’opportunità di questa nuova frontiera e tenterà di coniugarla utilizzando la sua collaudatissima tecnica contabile: socializzare i costi e privatizzare gli utili. b) la tecnologia digitale, decisivo strumento della transizione (e grande produttrice di consenso politico) è sotto il controllo di una oligarchia che sfugge al controllo democratico (e fiscale). c) la produzione su vasta scala di energia sostenibile produrrà un crollo ulteriore del prezzo del petrolio. I possessori di riserve petrolifere e di gas non assisteranno inerti alla perdita di valore dei loro giacimenti e giocheranno le carte di cui dispongono, dalle partecipazioni azionarie al lobbysmo ben pagato ed altro, per rallentare la transizione.

Ecco perché il “governo di tutti”, mentre allude al motto grillino sul superamento di destra e sinistra, giustifica il dubbio che in realtà nessuna scelta forte sia possibile. Le domande cruciali non riguardano questo o quel ministro, sono in realtà altre e rimandano al tema delle diseguaglianze: chi pagherà i costi della transizione? chi pagherà il debito pubblico crescente? continuerà l’attuale progressività fiscale “a rovescio” (il pezzo di società che ha di meno, paga di più) o si applicherà con rigore giacobino il dettato costituzionale per far pagare chi ha di più e recuperare l’evasione, a partire dai grandi players tecnologici?

La prima conclusione a cui arrivo, mi porta a citare Mao. Anche la rivoluzione ecologica “…non è un pranzo di gala, non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo…”. Sperando che non comporti conflitti sanguinosi, come sempre è accaduto in ogni fase di salto tecnologico, sicuramente comporterà conflitti sociali e politici a cui occorre prepararsi.

La seconda conclusione riguarda Draghi. La sua formazione ha due tappe centrali: il cattolicesimo democratico dei Gesuiti del liceo romano e la laurea con Federico Caffè, l’economista misteriosamente scomparso nel 1987 ed esponente della dottrina keynesiana in Italia. Come conciliare il keynesiano ruolo attivo dello Stato, con il liberismo predatorio di Berlusconi? Come conciliare con Salvini, il “terzomondismo” dei Gesuiti?

Risponderei così: molto presto si capirà se un “governo di tutti” sarà in grado di compiere scelte che non sono mai “neutre”, come “non neutre” sono le competenze. Draghi, per governare, sarà costretto a scegliere e lì si capirà se il percorso, da super tecnico a leader politico, potrà compiersi. Ovviamente, me lo auguro.

Giuseppe Chicchi

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