Cerca
Home > Cultura e Spettacoli > Il racconto > La storia di Franco Leoni Lautizi, superstite della strage di Marzabotto: “Ho deciso di perdonare”

La storia di Franco Leoni Lautizi, superstite della strage di Marzabotto: “Ho deciso di perdonare”

Nei giorni scorsi la redazione di Chiamamicitta.it ha avuto il piacere di ospitare alcuni studenti impegnati in un progetto di alternanza scuola-lavoro. Li abbiamo messi alla prova e questo è uno dei lavori svolti dai ragazzi. 

Articolo a cura di Angela Sette, Alessia Tucciarelli (Liceo Giulio Cesare Manara Valgimigli, classe 4B economico-sociale).

Settembre 1944, strage di Marzabotto. Le SS tedesche uccisero oltre 770 civili in soli 5 giorni. 216 erano bambini. Franco Leoni, uno dei pochi sopravvissuti di questa tragedia e dal 1961 vive a Rimini, dove è residente. In occasione della giornata della memoria, ha voluto raccontare la sua storia ricordandoci di non dimenticare.

La strage di Marzabotto

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il comune di Marzabotto viveva nella povertà e la maggior parte delle persone erano contadini. Franco ricorda che“I partigiani facevano la guerriglia contro i tedeschi,  cheerano violenti anche loro e forse non avevano mai pensato che la violenza portasse altra violenza”.

Il 29 settembre avvenne lo scontro: i civili, lasciati in balia dei tedeschi, costruirono un rifugio in un cunicolo a 200 metri da casa di Franco. 30 persone cercarono riparo così dalle bombe.

Sassi Maria Martina, 23 anni, madre di Franco, a breve avrebbe partorito il suo terzo figlio e tornare a casa era più che una necessità. Così Franco, che aveva appena 6 anni, e sua nonna, accompagnarono la donna in quei 200 metri che li separavano dalla loro abitazione. Ma arrivati sul luogo, scoprirono che tutto era oramai distrutto, divorato dalle fiamme. All’anziana rimase giusto il tempo di raccogliere lo stretto necessario per poi riprendere la corsa verso il rifugio.

Nonna, madre e figlio, furono sorpresi da una pioggia di spari. Una pattuglia di tedeschi li aveva visti. La nonna cadde per prima, morì cercando di proteggerli. Franco e sua madre trovarono rifugio dietro un pagliaio. E si sa che “la paglia nasconde ma non ripara dal piombo” come racconta Leoni quando ricorda quelle giornate drammatiche. Sua madre subì un colpo fatale al ventre. “Ha urlato per un tempo infinito, un tempo che sembrava eterno”.

Oggi, proprio quel sentiero che conduce in cima al monte da fondo valle, teatro della tragedia vissuta dal superstite,  porta il nome della sua giovane madre, caduta nel tentativo disperato di mettere alla luce una nuova vita. La strada, in realtà, è stata dedicata a lei e a tutte le donne di Monte Sole.

Ma torniamo a quel settembre del 1944. Tornato al rifugio in stato di semi-coscienza, Franco sentì suo padre piangere: l’uomo era disperato, aveva perso tutto. Il giorno dopo si consegnò ai tedeschi per poi essere fucilato sul bordo di un fosso. Venne ritrovato un anno dopo in un’ansa del ruscello, qui fu riconosciuto grazie ai suoi effetti personali.

Dopo la scomparsa del padre, il rifugio fu raggiunto dai tedeschi: li radunarono in gruppi di 50 persone per fucilarli. Grazie ad una donna, un’artista tedesca che viveva a Bologna, si salvarono. Le SS abbassarono i fucili, distribuirono viveri e medicarono i feriti. “Un giovane tedesco si occupò di me” racconta Franco, “e nel mentre piangeva, forse perchè gli ricordavo una persona cara, forse perchè anche tra di loro c’era qualcuno che provava dei sentimenti”.

Durante la notte giunsero nella zona di San Benedetto dove trovarono un altro rifugio: in tutto erano una decina di persone senza legami tra di loro, provenienti da 3 famiglie diverse. Là non c’era nulla se non la legna per fare il fuoco. La fame era insostenibile e fu un inverno molto freddo. Più di 1,5 metri di neve caddero sull’appennino tosco-emiliano.

I tedeschi presero anche il resto della famiglia della madre di Franco. Non ebbero pietà: uccisero una bambina, Anna Rosa, perchè infastiditi dal suo pianto. “Le hanno sparato come si spara ad un animale”. L’unica a salvarsi fu la sorella più piccola della donna, Adriana, che uscì dalla finestra sul retro.

Ma quella di Marzabotto non è l’unica strage avvenuta in Italia. La più grande è avvenuta in una chiesa a Casalia, dove il prete è stato fucilato sull’altare e 92 persone sono state uccise. Tutti in fila contro un muro, gli adulti dietro e i bambini davanti. Così si assicuravano di prenderli tutti. Ci fu solo un superstite di questa terribile strage che ora vive a Bologna.

I fucili non erano l’unica arma utilizzata per uccidere: bombe a mano vennero gettate sui civili a Cerpiano così come a San Martino. Si radunavano le persone in stanze chiuse per assicurarsi che non vi fossero sopravvissuti.

Il messaggio

Nella giornata di venerdì 1 febbraio Franco ha esposto la sua storia a Roma davanti ad un pubblico di 150 studenti in occasione della Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo . “Quando non ci saremo più noi finirà anche la memoria” spiega Franco, “per questo la racconto nelle scuole: almeno nei ragazzi può ancora entrare nella mente e nel cuore. Negli adulti non è più facile, hanno poco interesse”.

Ma ciò che più vuole trasmetterci con il suo atroce passato è la forza del perdono e la speranza in un futuro migliore. “Ho portato odio per i tedeschi per tanti anni e questo non mi faceva vivere. Vivere con l’odio dentro è come alzarsi la mattina e vedere già la notte” afferma, “finchè un giorno ho incontrato un gruppo di ragazzi tedeschi miei coetanei. Ho pensato che potessero essere vittime come me. Che non avessero nulla a che fare con quanto accaduto. Allora mi sono rassegnato e ho deciso di perdonarli. Da quel momento sono riuscito a vivere meglio.”

Ultimi Articoli

Scroll Up