Sento una pericolosa mestizia nel cuore del popolo della sinistra. Sarà l’effetto dei sondaggi che premiano i “ventriloqui” (quelli che parlano con la pancia!) che popolano la politica italiana ed europea. Sarà il complesso del ”secchione” a cui la sinistra si è piegata nei Governi di unità nazionale per salvare il paese dalla crisi. Sarà la svolta tecnologica che, anche aggravata dal Covid, ha relegato il confronto politico alla insopportabile freddezza di Facebook o di Zoom. Sarà l’irraggiungibile dimensione planetaria, finanziaria o militare, a cui oggi si colloca lo scontro fra progresso e conservazione, a rendere difficile l’impegno politico. Come non citare poi un certo ”ripiegamento” dal territorio che le forze progressiste hanno realizzato in nome del leaderismo mediatico, notoriamente terreno preferito delle destre (anche perché più attrezzate).
Tutto molto complicato, dunque. La somma di queste cose basta a rendere pericolosamente incerto il popolo della sinistra. Se aggiungiamo poi il pericolo di una destra che punta a cambiare la Costituzione, cioè il patto che ha tenuto unita l’Italia e l’ha proiettata in Europa come protagonista, all’incertezza subentra la mestizia.
Forse può aiutarci il concetto di “guerra di posizione” che Gramsci propose per interpretare il contrasto stridente fra il determinismo della Seconda Internazionale che predicava l’ineluttabilità della rivoluzione e le sconfitte socialiste in Europa. Gramsci ci dice che quando si perde “egemonia”, cioè capacità di orientare il pensiero collettivo, è prudente attestarsi sulle “casematte”, difenderle e far partire da lì offensive ben scelte che consentano di conquistare nuove posizioni. Non ho dubbi sul fatto che la sinistra europea abbia perso “egemonia” nel ciclo dello sviluppo detto post-fordista.
La nostra “casamatta” è la Costituzione, le offensive, per conquistare il terreno che abbiamo perduto, devono riguardare il lavoro e il vasto campo dei diritti. Cos’altro è il famoso riformismo emiliano se non la capacità di conquistare posizioni dentro la nuova società civile, dando risposte ai bisogni e costruendo opportunità basate su diritti universalistici? Qui da noi le trincee della guerra di posizione sono molto più avanzate che nel resto del Paese e dobbiamo esserne fieri.
Questa riflessione spiega perché mi lasciano indifferente le polemiche di questi giorni sulle candidature: la Politica ci indica la Luna con un dito e ci fermiamo a guardare il dito?
Le domande vere non sono se Pierferdinando Casini può essere ancora candidato, se Lotti meritasse la terza elezione o se Gnassi dovesse avere o non avere il paracadute. Tutto ciò è solo “il dito”. La “Luna” è che cosa facciamo noi per i diritti e per il lavoro e con quali strumenti (quale partito, quale organizzazione territoriale, quali alleanze) e quanto tempo della nostra vita siamo disponibili a mettere a disposizione.
Le elezioni del 25 settembre si potranno vincere o perdere, questo è il bello della democrazia, una specie di termometro che ci parla della nostra salute politica. Dipenderà da come faremo campagna elettorale e se la campagna elettorale sapremo viverla come un passaggio verso una fase nuova della sinistra basata sul rapporto con le forze vitali della società. Magari sarà l’occasione per far riemergere quel “campo progressista” che le code del governo Draghi sembrano aver affossato. Comunque vada, sarà questo il modo migliore per preparare il difficile autunno che ci aspetta.
Giuseppe Chicchi