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La sfida di qualità della Birra Riminese, “ma molti locali si accontentano di quella industriale”

Gustare birra artigianale. Non quelle classiche e più commerciali, che abbiamo imparato a conoscere attraverso la pubblicità, ma quelle meno conosciute e più di nicchia, per un pubblico di veri intenditori del luppolo. E proprio una di queste birre così speciali si produce a partire dal nostro territorio, esattamente a Rimini. Il suo nome? Beh, non poteva essere che Birra Riminese. A produrla è Marcello Ceccarelli, 47 anni, riminese doc, che ci racconta il suo amore per la birra fatta in casa.

Marcello Ceccarelli

Ceccarelli, che cos’è la birra per lei?

«È una bella domanda! Per me la birra principalmente rimane uno strumento di compagnia, una bevanda da dividere con gli amici, non un prodotto da degustazione e sommelier!».

E invece cosa vuol dire produrla?

«È come cucinare, attività che ho svolto per diletto e per lavoro. È un piatto vuoto da riempire con prodotti a tua scelta, annusando i luppoli, assaggiando le spezie, aggiungendo malto per aumentare il grado, o modificare la percentuale di malto per cambiarne il colore».

Da quanto tempo esiste la Birra Riminese?

«Ho cominciato a produrre birra artigianale nel 2013, prima solo per il locale che avevo in gestione, poi anche in bottiglia, etichettata con il marchio Birra Riminese, con il quale sono sul mercato dal 2015».

Che tipi di birra produce?

«Cinque tipi, per la maggior parte di ispirazione anglosassone: una birra di grano con scorze di agrumi, fresca e dissetante; una IPA, robusta e amara; una Pils, molto profumata; una Bitter, dal gusto tipicamente inglese;  una Scottish, con l’aggiunta di miele di castagno locale. Durante l’anno poi mi capita di produrre lotti di birra speciali, a Natale o in estate, a seconda dell’ispirazione!».

Qualcuno la aiuta in questa sua impresa?

«Per ora siamo in due, io e Priscilla Migani, la mia socia, con l’aggiunta di una persona che ci aiuta nella gestione delle fiere e delle feste, visto che in estate mi capita spesso di spinare nelle piazze e negli eventi organizzati in zona come Al Meni, il Festival dei Microspettacoli, Festival dei Denti Mancanti, Festa del Borgo San Giovanni. La distribuzione, per il momento, è locale, molto radicata sul nostro territorio, finalizzata a rafforzare il marchio e ad offrire un servizio puntuale ai nostri clienti: bar, ristoranti, negozi specializzati e pub. In autunno, cominceremo una collaborazione con un’azienda che si occupa di distribuzione di vini e liquori di qualità sul territorio romagnolo».

Quanti litri all’anno?

«Se tutto va bene, chiuderò il 2018 con 10 mila litri, contro i 7.500 del 2017».

Per portare avanti questo tipo di attività è necessario avere un attestato, fare dei corsi?

«Non serve nessun attestato, soprattutto bisogna avere tanta passione e tanto tempo da dedicare al perfezionamento delle ricette. In giro per l’Italia ci sono comunque diversi corsi: a Torino, Udine, Perugia, Roma, alcuni molto interessanti e ben strutturati, ma parteciparvi non è di certo un requisito importante. Io ho frequentato un corso intensivo presso l’Università di Udine, giusto per avere un inquadramento generale, soprattutto di carattere normativo e amministrativo».

Quanti soldi bisogna investire per mettere in piedi tutto questo?

«Ci vogliono circa 150 mila euro, per un impianto piccolo con il quale partire, ma io attualmente condivido l’impianto con un altro produttore, partecipando così al suo sforzo economico: molti in Italia hanno fatto la stessa scelta. In questa maniera, lui fatica meno a pagare le rate del mutuo e io non mi espongo a mia volta con le banche».

Ci sono molte aziende come la sua dalle nostre parti?

«Sul nostro territorio, compreso San Marino, mi sembra ci siano cinque realtà che producono birra artigianale».

Secondo lei, le birre artigianali stanno prendendo piede anche sulla nostra riviera?

«Stanno cominciano a girare, anche se a Rimini e nella altre città della costa, i ristoratori sono ancora attaccati ai vecchi stereotipi della “birra normale”, la classica chiara da bar al mare. Dobbiamo anche combattere contro una distribuzione sempre più agguerrita, con prezzi al ribasso, che propongono birre industriali che strizzano l’occhio a quelle artigianali, ad esempio le varie “non filtrate”, dicitura che di per sé non garantisce di certo l’artigianalità del prodotto che bevi».

Alla gente, oltre al vino, piace bere birra di qualità oppure no?

«Certo, però la birra di qualità fatica ancora ad avere lo spazio che merita sul mercato! Purtroppo, mi capita spesso di presentarmi in posti, anche importanti e di livello, dove mi viene risposto che il locale è frequentato da persone che amano bere il vino buono, e quindi si accontentano di tenere in frigo o alla spina le solite birre. Non capiscono che ci sono tante persone che magari vorrebbero bere una buona birra artigianale e non una banalissima chiara industriale!».

Quali sono i vostri prossimi progetti?

«Oltre al tentativo di allargare la rete di distribuzione, nella consapevolezza che il marchio Birra Riminese possa essere appetibile anche fuori Rimini, visto il forte appeal che ancora la nostra riviera ha in giro per l’Italia, vorrei aprire un piccolo locale dove spinare le mie birre, accompagnate con assaggi delle eccellenze prodotte nelle nostre colline».

Nicola Luccarelli

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