Un piccolo hotel a gestione familiare della zona nord di Rimini, l’hotel Brenta, è diventato in poche ore il quartier generale dell’accoglienza dei profughi ucraini sulla Riviera romagnola. Un’organizzazione partita spontaneamente tra i privati.
Alcuni abitanti della zona di origine ucraina si sono resi disponibili per pianificare gli arrivi tramite chat. Su pezzi di carta scrivono i nominativi di cui vengono a conoscenza. La sala colazioni dell’albergo è diventata così una sorta di anagrafe improvvisata. Gli ospiti sono quasi tutti giovani donne con bambini, i mariti sono rimasti in patria. I piccoli giocano nella sala da pranzo che si è così trasformata in una sala giochi. Ogni tanto qualcuno esce sul lungomare a fare una passeggiata. I minori più grandi si danno da fare e aiutano il personale dell’hotel nel trasporto di ciò che serve da un piano all’altro. Il magazzino si è riempito di scatoloni di vestiti, giochi e prodotti di ogni sorta portati in questi giorni dai cittadini. Ci sono anche alcuni passeggini.
Il materiale è molto di più di quello che serve e così tanti scatoloni vengono inviati ogni giorno in fiera e da lì vengono smistati in altre realtà riminesi dove servono, o addirittura spediti in Ucraina. I profughi in questo hotel e negli altri della zona arrivano a tutte le ore – spiegano i volontari – spesso solo con i vestiti che portano indosso, o al massimo una piccola borsa con qualche effetto personale. C’è chi è arrivato alle 4 di notte dopo un viaggio lungo fino a 80 ore.
Intanto proseguono gli arrivi di profughi su tutta la Riviera romagnola accolti negli alberghi stagionali che in fretta e furia sono stati riaperti dai gestori per la loro accoglienza attraverso il coordinamento dell’associazione Riviera Sicura. “Stamattina erano una ventina le strutture che ci hanno dato disponibilità – spiega l’albergatore e presidente dell’associazione di hotel, Giosuè Salomone – ieri circa 15 gli alberghi che ospitavano già profughi. La situazione cambia in maniera pressoché quotidiana. Ogni giorno riusciamo ad aggiungere nuove adesioni. In questi ultimi giorni si stanno aggiungendo anche molte disponibilità di seconde case”.
A quanti profughi è possibile dare ospitalità in questo momento? Solo a Rimini “siamo riusciti ad ospitare circa 200 profughi – prosegue Salomone -. Grazie anche un po’ al clamore mediatico dell’iniziativa, tanti altri alberghi si sono aggiunti, quindi in questo momento riusciamo comunque a coprire circa la disponibilità per 400 persone”. Gli arrivi sono costanti, avvengono anche di notte, ed è difficile tenerne il conto.
“Anche oggi non navigheremo al di sotto dei 50 arrivi”. Le strutture ricettive sono state le prime realtà della riviera ad essersi attivate per l’emergenza profughi, ancora prima delle istituzioni. Ieri in prefettura a Rimini si è tenuto l’incontro con i sindaci e la diocesi per fare la conta delle strutture pubbliche disponibili. “Ci rendiamo conto che la guerra corre un attimo più veloce della burocrazia – prosegue l’albergatore – per cui nella primissima fase solo noi privati potevamo riuscire a mettere in piedi un’organizzazione, un primo piano di accoglienza. È chiaro che adesso si deve passare alla fase 2, quella di concerto con le istituzioni per riuscire a offrire il miglior servizio possibile a questa gente che scappa”.
Intanto l’assessore del Comune di Rimini è a Leopoli con i volontari della Papa Giovanni XXIII: “C’è la Croce Rossa ma locale ma non internazionale”, riferisce allarmato.
“Toccare con mano e capire qual è la situazione cambia la prospettiva delle azioni, degli interventi”, dice all’ANSA Gianfreda mentre si trova a Berehove, praticamente al confine dell’Ucraina con l’Ungheria. È in auto con due membri della Papa Giovanni XXIII e due giornalisti Rai: sono partiti alle 7 stamattina da Leopoli per far rientro, si spera in nottata, in Italia. “Quello che si percepiva già da Rimini quando abbiamo cominciato a raccogliere i primi aiuti – dice – è che non si sapeva bene a chi e dove inviarli. C’era una grande disponibilità ma difficoltà nel convogliarla. Allora ho deciso di partire”.
“Anche in Italia la disponibilità non è ancora organizzata, arriva da tanti canali non ufficiali. Serve organizzazione e serve fare in fretta. A Leopoli gli ospedali chiedono farmaci, non c’è il pane”. E il fiume umano di profughi in arrivo è inarrestabile.
Altro aspetto: “Sono andato anche per far sentire la vicinanza della nostra nazione alla popolazione ucraina, che è in una forte condizione di percezione di isolamento e solitudine di fronte a una forza micidiale come quella russa”. Oltre alla presenza “urgente” di Ong internazionali, per Gianfreda, il bisogno più importante è legato alle persone più fragili, “bambini disabili, autistici, e anziani”.
(ANSA)