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Là dove cade l’occhio del prof

Il nome del liceo, «Socrate», sembrava una garanzia: il filosofo ateniese, benché sposato, non era un grande estimatore della bellezza femminile. Se doveva sbirciare delle gambe nude, erano quelle slanciate e muscolose degli efebi che frequentavano la sua scuola.

Ma per gli insegnanti dell’istituto a lui intitolato, nel quartiere Garbatella di Roma, a quanto pare le gambe troppo scoperte delle studentesse sono un’attrazione irresistibile, specie con i nuovi banchi monoposto che non lasciano nulla all’immaginazione.

«Ai professori cade l’occhio», avrebbe detto la vicepreside del liceo romano ad alcune liceali che indossavano la minigonna, raccomandando loro un abbigliamento più modesto. E’ chiaro che la vicepreside non ha figli adolescenti, altrimenti saprebbe che il modo più efficace per indurre dei teenager a vestirsi di più è ordinargli di vestirsi di meno.

Vera o presunta che sia, su ragazze cresciute fra MeToo e TikTok la frase della dirigente ha avuto l’effetto di un fiammifero in un pagliaio: ovviamente, le studentesse hanno risposto invitando «tutte e tutti» a presentarsi a scuola con la gonna, possibilmente corta – e sarebbe bello che qualche studente avesse raccolto l’invito per solidarietà con le compagne, anche in omaggio all’antica Grecia: lì uomini e donne portavano il chitone che, stringi stringi, è un abito a gonna.

Le ragazze del «Socrate», in un documento, hanno affermato che «i nostri corpi non possono essere oggettificati, non possiamo prenderci la colpa degli sguardi degli insegnanti maschi». Un’intransigenza che stupisce meno del silenzio degli insegnanti maschi, che, per quanto si sa, non hanno sentito il bisogno né di smentire la vicepreside, che li ha dipinti come dei guardoni allupati alla Alvaro Vitali, incapaci di governare le loro palle degli occhi, né di rassicurare le studentesse sul fatto che la scuola le protegge e le rispetta, comunque siano vestite. Che poi la scuola sia per i ragazzi un luogo di lavoro che non è decoroso frequentare mezzi nudi e in ciabatte, è una questione annosa e una spina nel fianco dei presidi, specie nei mesi più caldi.

Pure Rimini è balzata agli onori della cronaca qualche anno fa per una scuola che voleva mettere al bando bermuda e infradito. Nemmeno le elementari sfuggono alle crociate sul dress-code, com’è successo giorni fa a Francavilla, dove una preside pretendeva addirittura bambini e bambini vestiti come mini steward e hostess, anzi, sognava una scuola in cui nei giorni di vento i maschietti, pasdaran in miniatura, invitano le femminucce a coprirsi le gambe – il tutto all’inizio di un anno scolastico in cui le parti anatomiche che è più urgente coprire sono bocca e naso.

Cari presidi, con tutti i problemi che avete in questo periodo, dovete proprio andarvi a incasinare sugli orli delle gonne? Tanto la didattica a distanza è sempre dietro l’angolo, e in quel caso nessuno vedrà più le gambe di nessuno, l’istruzione tornerà a mezzobusto, come il tiggì.

Nel frattempo, i prof che non hanno mai visto grazia di dio, a forza di osservare tutti i giorni parate di giovani gambe nude perderanno l’interesse, e, hai visto mai, cominceranno a far «cadere l’occhio» sulla modica porzione di polpacci che spunta dalle gonne delle vicepresidi.

Lia Celi

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