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La ‘Cumedia’ di Bianchini, non Divina ma meravigliosamente umana

Gabriele Bianchini. Noto ingegnere per tutti, poeta e fine dicitore per una cerchia di amici e di estimatori che va sempre più allargandosi. La sua “Cumedia”, perdendo, nella versione dialettale, l’attributo di “Divina”, si rivela, in compenso, meravigliosamente “umana”. Perché se è vero che il sommo padre Dante può essere considerato “il maggior poeta pop della nostra Storia Letteraria”, – come afferma Ennio Grassi nella bella prefazione al volumetto, pubblicato col patrocinio della Provincia e del Comune di Rimini e a cura della Associazione Ar Emni- ciò avviene soprattutto, come dimostra anche il successo mediatico di Roberto Benigni, grazie a una interpretazione semplice e diretta del testo.

Naturalmente il dialetto romagnolo nella sua ruvida schiettezza si presta benissimo a questo scopo. Ma attenzione! Per poter “tradurre” Dante in riminese, rispettandone sia pure a grandi linee la complessità, occorre essere dotati di una particolare abilità stilistica e lessicale ed è sotto questo aspetto che Gabriele raggiunge effetti comunicativi straordinari.

Destando la nostra ammirazione (nell’inevitabile confronto con altri autori vernacolari che si sono cimentati nell’impresa) per la perfezione delle terzine, degli endecasillabi, della rime mai banali o forzate, in altre parole per la sua profonda cultura classica. Una cultura che, indossando i panni del popolano che fa il verso al Signore, ci svela il segreto dell’umorismo, che consiste appunto nel conciliare gli opposti convertendo la “tensione” in “distensione”.
Si prenda ad esempio l’incontro fatale di Paolo e Francesca.

“Piò volti, lezend ad che baligot
avem santì t’è cor un non so chè
mo s’una fresa a sem caschè ad bot:

quand avem let che lo u la i basè
as sem custrét a fe ugualmènti
Pevul l’ha cminz, e me pò a i sò stè.”

Scommetto che anche Dante, dalla sua nuvoletta, ha sorriso, di fronte a quello stupendo “a i so stè”…

Giuliano Bonizzato

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