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La Casteldelci di Burioni corona-free, miracolo o saggezza?

Ferrera Erbognone in Lombardia, il Bellunese e la zona del delta padano, alcune valli piemontesi, Nemi nel Lazio e le zone interne della Sardegna: lembi d’Italia in cui, per motivi ora al vaglio degli studiosi, il Covid-19 non è ancora riuscito a fare breccia, e si spera che non la faccia mai.

Per ora è difficile stabilire se dietro questa immunità ci siano fattori genetici, geografici o puro e semplice fattore C. Gli abitanti di alcune zone montane avranno finalmente trovato qualche lato positivo nell’isolamento che per secoli ha regalato loro solo gozzo e tare dovute all’endogamia. E si sospetta che a proteggere i rovigotti e i ferraresi dagli attacchi del coronavirus sia proprio la millenaria convivenza con talassemia e malaria, che avrebbero rafforzato il sistema immunitario degli indigeni fino a conferire loro una specie di invulnerabilità.

Il caso di Ferrera Erbognone è un vero e proprio enigma, visto che non si tratta di un borgo isolato e molti degli abitanti lavorano in una vicina raffineria dove erano possibili contatti con persone provenienti da zone più colpite, e per ora la sua incolumità sembra più frutto di un colpo di fortuna che di cause scientificamente accertabili. Ma c’è un altro paesino, molto più vicino a noi, in cui non si è ammalato nessuno, benché sia nel bel mezzo di una delle zone più virologicamente «rosse» d’Italia, la Valmarecchia.

Parliamo di Casteldelci, poco meno di quattrocento anime, il comune più occidentale dell’Emilia Romagna e il più meridionale dell’Italia del Nord (fonte Wikipedia). A Casteldelci il Covid-19 è off-limits, ma non c’è bisogno di scomodare i premi Nobel per capire perché. Non c’entra la quarantena naturale cui l’orografia condanna storicamente gli abitanti, che peraltro non ha loro risparmiato tragedie durante l’ultima guerra. Ed è improbabile a fare la differenza sia l’eccellente pane toscano cotto a legna che dai forni di Casteldelci arriva ai nostri supermercati.

No, il paesino valmarecchiese è protetto da un’aura carismatica. Un grande spirito originario di quelle colline la difende e scaccia dai suoi confini il miasma mortifero. Che sia Uguccione della Faggiola, il grande capitano di ventura stimato da Dante, che venne al mondo nel 1250 a Casteldelci e al comando di un’armata fantasma di mercenari sbaraglia il coronavirus come sette secoli fa debellava i guelfi fiorentini? Acqua, acqua.

Stiamo parlando di Roberto Burioni, una delle poche bussole nel mare procelloso della pandema, il professore che combatte tutti i virus, compresi il corona e quello, altrettanto pericoloso, delle fake news in materia di salute. La sua famiglia viene proprio da Casteldelci, dove lui è di casa fin da bambino. Non stupirebbe se nel corso degli anni il paesino avesse rafforzato il suo sistema immunitario collettivo grazie all’overdose di good vibrations burionesche e ora fosse preservato da uno scudo invisibile in grado di scoraggiare il bacillo più pervicace.

Insomma, Burioni sarebbe l’equivalente laico di san Michele Arcangelo, che brandendo la sua spada celeste vince tutte le pestilenze. Oppure i 392 casteldelcesi, razionali e prudenti come il loro concittadino, hanno adottato tempestivamente tutte le misure di difesa, a cominciare dal distanziamento sociale fra loro e soprattutto con i forestieri. E tenendo le dita incrociate, come facciamo tutti (incluso, forse, il prof Burioni.)

Lia Celi

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