La materia pensionistica è sicuramente complessa, su di essa si potrebbe discutere per ore e sarebbe comunque interessante aprire un dibattito a tutto tondo.
Prendo però a pretesto l’intervista del Presidente dell’Inps Stefano Boeri sul Corriere della Sera, con la quale denuncia i costi delle decisioni in materia pensionistica contenuti nella Legge di Stabilità 2017, per alcune considerazioni partendo da una più generale: e cioè che dal mio punto di vista la Legge di Stabilità è nel complesso buona e per alcuni tratti innovativa.
Secondo Boeri però gli interventi su quattordicesima, su lavoratori precoci e “Ape social” aumentano il debito pensionistico di oltre 20 miliardi subito ed in prospettiva di ulteriori 24 miliardi di euro.
A fronte delle previsioni della Ragioneria Generale dello Stato che in prospettiva prevede una strutturale riduzione della spesa pubblica per pensioni in rapporto al PIL, a favore di un incremento della spesa per sanità e Long Term Care (assistenza continuativa a soggetti colpiti da eventi invalidanti o malattie tali da generare uno stato di non autosufficienza), la spesa pensionistica pubblica continua a crescere.
Occorre passare in rassegna qualche dato per capire lo stato del Sistema pensionistico italiano.
Paragonando il sistema pensionistico statunitense (dove è marcato il ricorso al pilastro complementare privato) con quello italiano (dove il secondo ed il terzo pilastro pensionistici sono ancora relativamente giovani) emerge il seguente quadro:
contribuenti (in milioni) |
rapporto lavoratori su pensionati |
tasso di disoccupazione |
|
STATI UNITI |
156,1 |
3,5 |
4,9% |
ITALIA |
19,1 |
1,1 |
11,4% |
Siccome il sistema pensionistico si regge sulla capacità di pagare le pensioni con i contributi versati da chi lavora, oggi è evidente che l’intero sistema si regge su di un equilibrio molto labile. Va aggiunto che chi fa versamenti previdenziali oggi ha spesso stipendi bassi e non può contare sul posto fisso.
Inoltre, secondo la CGIA di Mestre nel 2015 la spesa pensionistica-assistenziale è cresciuta ancora, arrivando a 323,4 miliardi di euro.
Secondo i dati OCSE:
Rapporto Spesa pubblica previdenziale su PIL |
Tasso di occupazione lavoratori 60-64 anni |
|
ITALIA |
15,7% |
26% |
OCSE (media) |
8,4% |
45% |
A ciò possiamo aggiungere che:
- mezzo milione di italiani sono in pensione da oltre 36 anni, oltre 800.000 da più di trenta anni;
- vengono erogati 527.000 assegni ai superstiti (pensioni di guerra);
- l’età media di pensionamento in Italia è pari a 63,3 anni nel 2014 contro i 53,3 anni del 1980 (proprio negli anni ottanta il debito pubblico è esploso alla media dell’ 8% all’anno insieme all’esplosione della spesa pensionistica per effetto delle baby-pensioni).
Come noto, il 1 gennaio 1996 c’è stato il passaggio dal sistema retributivo (con pensioni superiori all’80% dell’ultimo stipendio) a sistema contributivo (con pensioni oggi tra il 50% ed il 60% dell’ultimo stipendio).
Si è passati quindi da prestazioni derivanti da quanto si è guadagnato durante la vita professionale a prestazioni dipendenti da quanto si è effettivamente versato durante la propria carriera.
Attualmente dei quattordici milioni di assegni pensionistici:
- 12.400.000 (88,47%) sono con il metodo di calcolo retributivo (con pensione media mensile di 916,63 euro);
- 402.000 (2,87%) con il metodo contributivo (con pensione media mensile di 231,16 euro)
- 1.229.000 (8,6%) con il metodo contributivo misto (con pensione media mensile di 868,00 euro)
Lo scenario ci porta a dovere considerare che per chi andrà in pensione tra il 2050 ed il 2060 la pensione pubblica sarà solo una piccola parte (spesso minoritaria) della prestazione pensionistica di ogni singolo cittadino e per questo è lodevole l’iniziativa voluta dal Presidente dell’Inps Tito Boeri che con l’invio della “Busta arancione” a centocinquantamila cittadini li ha informati, in maniera generale, sulla loro pensione futura.
L’iniziativa cerca di accrescere la sensibilità dei cittadini in materia di pensioni e di orientarli alle forme pensionistiche complementari visto che il Sistema pubblico già oggi non è in grado di sostenersi.
Tuttavia la “Busta arancione” contiene informazioni parziali e rischia di essere per certi versi fuorviante. Contiene una simulazione automatica che tiene conto di un “mondo ideale” che ideale purtroppo non è. Nelle tre pagine sono indicati la data prevista di pensionamento, l’ultima retribuzione o reddito percepiti, il valore del primo assegno di pensione e il tasso di sostituzione al lordo e al netto di tasse e contributi.
L’importo della pensione stimato è ottenuto in maniera automatica, senza alcun valore certificativo, perché basato sui contributi finora accreditati e sulla proiezione di quelli che ancora mancano al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento.
Non tiene conto ad esempio di possibili momenti di inoccupazione (più o meno lunghi) e le stime ipotizzano una crescita media del Pil dell’Italia dell’1,5% annuo (sappiamo bene che per i prossimi anni sarà già difficile arrivare alla soglia dell’1%).
Le precarie condizioni dell’ INPS combinate con l’allungamento della vita, il calo delle nascite, la discontinuità della vita lavorativa dovuta alla crisi economica imporrebbe una svolta politica per mettere al centro dello stato sociale i giovani.
Negli ultimi dieci anni, se il reddito medio dei lavoratori dipendenti è rimasto fermo, quello dei più giovani è addirittura crollato, mentre è cresciuto quello dei pensionati, già favoriti da un sistema pensionistico (beati loro) retributivo e dalla logica (tutta italiana) dei diritti acquisiti contro i quali pare non potere nulla neppure la politica, se è vero che è spesso la stessa Corte Costituzionale ad intervenire per ripristinarli.
Di fronte a questo scenario, con i giovani che rischiano “pensioni pubbliche da fame” (che non supereranno il 50% dell’ultima retribuzione per i lavoratori dipendenti ed ancora peggio per i lavoratori autonomi o professionisti) stride, dal mio punto di vista, l’accordo tra Governo e Sindacati per destinare risorse nella prossima legge di stabilità alle quattordicesime dei pensionati inferiori a mille euro.
Non è l’obiettivo in se ad essere sbagliato (per certi versi è condivisibile), ma il modo ed il criterio scelti sicuramente sì. Destinare sette miliardi di euro senza alcun riferimento al reddito familiare significa che il 70% delle risorse finiranno nelle tasche di coloro che poveri non sono.
Diceva Don Milani: “Non c’è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali fra diseguali”.
Non si mette cioè in atto alcuna politica redistributiva ed in più l’intervento viene finanziato con l’ennesimo aumento del debito pubblico, ovvero andando a gravare ulteriormente sul futuro delle giovani generazioni.
Come già per gli ottanta euro, si continua a privilegiare una visione di corto respiro fatta di benefit senza alcuna logica redistributiva, piuttosto che fare scelte strutturali per il futuro delle nuove generazioni.
Se l’obiettivo è combattere la povertà, perché intervenire solo sulla categoria dei pensionati? Perché non essere più puntuali nelle risposte mettendo risorse a disposizione della Legge Delega sulla povertà?
Ritengo indispensabile che le istituzioni, i partiti e i sindacati affrontino con risolutezza ed estrema trasparenza il tema previdenziale e pensionistico da due principali punti di vista:
- da un lato investire risorse per informare i cittadini e dotarli degli strumenti di conoscenza necessari per potere valutare le ricadute sul proprio futuro
- dall’altro lavorare per ricostruire il “Patto tra generazioni” che ha retto la nostra società fino agli anni ottanta e che vede oggi i nonni contri i padri e contro i nipoti.
La società dei consumi, fortemente atomizzata ed egoista, ha perso di vista il futuro e pare che abbia senso ed importanza solo il presente. L’unica ridistribuzione tra generazioni che è avvenuta in questi anni è stato il trasferimento della povertà dagli anziani ai giovani sia nel quotidiano (stipendi bassi, voucher, .…) sia in prospettiva (pensioni).
Alex Urbinati