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“Io studentessa a Rimini tornata nel mio Iran per lottare contro il regime”

Faegheh Fazlallahzadehbahrami ha 33 anni e vive a Rimini dal 2018. Ci è arrivata appositamente dalla sua Teheran per studiare all’università, dove lo scorso anno si è laureata nella Facoltà di Moda presso il Dipartimento qualità della vita. Ma quando ha visto quanto stava accadendo nel suo Paese, ha deciso di tornarvi per andare a manifestare in piazza insieme al suo popolo. Questo è il suo racconto.

Mahsa (Jina) Amini è il simbolo della solidarietà degli iraniani dentro e fuori il Paese. Una donna di 21 anni è stata uccisa dalla polizia morale perché non indossava correttamente il suo hijab. Sono passati più di 60 giorni dalla sua uccisione e la protesta nata inizialmente per chiedere conto del suo sangue è ancora in corso, ma ora per uno scopo più grande. Rovesciare il regime.

I primi giorni dopo la morte di Mehsa tutti pensavano che questo movimento sarebbe stato rapidamente represso dal governo, come i movimenti precedenti, tra cui il “Novembre di Sangue 2019” (una serie di proteste civili a livello nazionale, causate dall’aumento del 50-200% del prezzo del carburante). Ma questa volta la gente è più arrabbiata di prima. Le donne sono in prima linea, dopo 43 anni di costante oppressione. Nei primi giorni, i manifestanti hanno cantato “donne, vita, libertà” per chiarire la natura del movimento – Libertà con un focus sul pilastro più fondamentale della Repubblica Islamica dell’Iran: la segregazione delle donne. Il governo iraniano ha abilmente nascosto agli occhi del mondo 43 anni di negazione dei diritti delle donne in nome della cultura islamica.

La repressione iniziò subito nei primi giorni della rivoluzione del 1979. I leader della Repubblica islamica dichiararono al mondo che le severe leggi iraniane erano il frutto della volontà delle donne stesse, e anche l’assenza di media internazionali in Iran ha contribuito a sostenere questa affermazione. Le donne e le minoranze iraniane stanno gridando contro i 43 anni di repressione della Repubblica islamica, in modo che il mondo possa conoscere per la prima volta l’infinita crudeltà dello Stato islamico attraverso la narrazione delle donne iraniane.

Per quattro decenni, la Repubblica islamica ha cercato di coprire l’oppressione del popolo iraniano con l’aiuto di cosiddette organizzazioni no-profit come il NIAC, una lobby di regime (il National Iranian American Council è una ONG della società civile senza scopo di lucro con sede a Washington) e di dare la colpa alle sanzioni straniere. La morte di Mahsa Amini ha sconvolto tutte queste equazioni. Le donne iraniane hanno gridato per la loro libertà sia all’esterno che all’interno. Ma fin dal primo giorno, la risposta alle richieste pacifiche del popolo non è stata altro che pallottole, manganelli e gas lacrimogeni. Le giovani donne vengono uccise una dopo l’altra e il governo fornisce motivazioni false per ogni morte. In questa situazione, gli iraniani all’estero accorrono in aiuto dei loro connazionali per far sentire la loro voce. Ma è molto difficile per gli iraniani, soprattutto per le donne iraniane, rimanere a guardare gli eventi dell’Iran da dietro lo schermo del telefono.

Di conseguenza, come donna iraniana che vive a Rimini, ho deciso di lasciare l’Italia, considerando i possibili rischi, e di seguire la rivoluzione iraniana dall’interno. Quello che ho visto con i miei occhi è stato incredibile. Donne che fino a pochi mesi fa venivano addirittura arrestate e imprigionate per aver indossato un hijab inappropriato, ora camminano per strada senza hijab. Ma a questo si è risposto con i metodi più repressivi e violenti. Le strade di Teheran erano piene di agenti armati e miliziani Basij che sparavano ai manifestanti. Secondo i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani e dei media internazionali, i proiettili hanno ucciso almeno 450 persone, tra cui 58 bambini (CNN 20/11/2022) e molti sono stati accecati, perchè vengono sparati colpi con pallini da caccia.

Oggi per le vie di Teheran

Le forze di sicurezza che presidiano le strade dell’Iran sono entrate anche nelle case dei cittadini. La casa non è più un luogo sicuro. Ogni sera alle 20, le persone gridano dalle loro case slogan contro il dittatore (Khamenei), quindi le forze di sicurezza minacciano le persone di morte e decapitazione nei quartieri più protestatari. Il 1° novembre, membri del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche hanno attaccato la città di Ekbatan (a ovest di Teheran) e hanno minacciato i residenti di decapitarli se avessero continuato a gridare contro la Guida suprema. È chiaro a tutti gli iraniani che questa non è solo una minaccia e che la Repubblica islamica non ha paura di metterla in pratica.

Come testimone che era presente alla cerimonia del 40° giorno della morte di Mahsa Amini nella protesta a Teheran in via Sohrvardi (un quartiere del centro ). Ho visto arrivare un proiettile sparato contro i manifestanti mentre le forze di sicurezza usavano l’ambulanza per spostare le loro truppe. I manifestanti, invece, non avevano armi.

Tuttavia, la brutalità delle forze del regime non si esaurisce con l’uccisione di persone in strada. Nel suo ultimo rapporto sulla situazione in Iran, la CNN riporta lo stupro di donne e ragazze iraniane durante la detenzione. Pertanto, l’Iran sta scivolando in una guerra su larga scala. Una guerra che ha reso le case e le strade insicure per le persone, il regime ha dichiarato guerra al suo popolo indifeso e disarmato che chiede i suoi diritti umani fondamentali.

Faegheh Fazlallahzadehbahrami

(nelle immagini in apertura: le proteste nel Kurdistan iraniano: in quanto primo focolaio del movimento delle donne, la regione è sotto gli attacchi più intensi della Repubblica islamica)

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