A quattro anni ero già molto intonato. Caratteristica riconosciuta a pieno titolo da mio Babbo che, soprattutto quando ospitava in casa i suoi amici, mi metteva in piedi su un tavolo e: “Adesso canta!”. Non me lo facevo ripetere due volte. Il mio pezzo forte era Mariù (“Parlami d’amore Mariù- tutta la mia vita sei tu”) di cui, come mi disse poi la Mamma, veniva particolarmente apprezzato il punto in cui intonavo ‘gli occhi tuoi belli brrrrillano’, in quanto arrotavo quelle erre in maniera tutta particolare. Mi piaceva anche molto: “Fischia il sasso il nome squilla, del Ragazzo di Portoria –-e l’intrepido Balilla-è rimasto nella Storia” e rimasi un po’ sconcertato quando divenne una ‘canzone che era meglio non cantare’. Va a capire che c’era stato l’8 settembre! Comunque a lasciando perdere Balilla e le sue sassate allo straniero, mi buttai con entusiasmo nella interpretazione di “E Pippo Pippo non lo sa-che quando passa ride tutta la città-si crede bello-come un apollo- e saltella come un pollo”. E, tra parentesi, credo proprio che quella canzoncina sincopata di Gorni Kramer (uno dei primi tentativi di contrabbandare ‘all’italiana’ il censurato swing dell’odiata America) abbia fatto nascere in me la passione per il jazz .
A sei anni sono molto fiero della mia divisa di figlio della Lupa. Fez, bandoliere bianche, stemma con la lupa dorata che allatta i gemelli Romolo e Remo e la M di Mussolini. Ma soprattutto del mio piccolo moschetto modello 91, imitazione perfetta di quelli veri usati nella prima guerra mondiale. Lo portavano solo i Balilla nelle adunate e dunque il mio… era un porto d’armi abusivo! Vado un giorno, a pavoneggiarmi, in divisa, dalla Paolina, una bambina bionda dagli occhi celesti di cui sono innamorato pazzo anche se lei non lo sa. Beh, mentre nel giardino di casa sua adiacente al mio, le mostro il funzionamento del finto moschetto (caricamento, espulsione del bossolo, sparo) entrano dentro sei o sette Avanguardisti in divisa, ragazzi sui quindici-sedici anni da me ammirati anche per il pugnaletto (vero!) che avevano in dotazione. “Sei nostro prigioniero!” gridano, sghignazzando, mentre uno sfodera addirittura la sua arma. E mi portano in un campo a duecento metri di distanza dove, felice come una Pasqua, eseguo le esercitazioni che mi vengono ordinate: strisciata sui gomiti con moschetto alto sulla testa, salto del fossato, corsa e tuffo nell’erba… A un certo punto proprio mentre sto eseguendo una avanzata pancia a terra, sento le urla di mia madre che vedo prima torreggiare su di me e poi distribuire, con uno scopone, botte a destra e manca ai prodi guerrieri. I quali fuggono strillando e abbandonando al suolo un fez volato via a uno di loro. Rimasi sbalordito e pieno di ammirazione per colei che mi aveva messo al mondo. E con qualche condizionamento in meno in tema di militarismo.
Fu il mio unico anno da figlio della Lupa. Subito dopo arrivò la Pace.
Conclusione
Se consideriamo il fatto che del periodo fascista sopravvive solo qualche ex Figlio della Lupa… forse cominceremo a capire perché siamo, finalmente, diventati un Paese Normale.
Buon Anno a tutti.
Giuliano Bonizzato