Undici anni e 2 mesi di reclusione. Il Tribunale di Rimini ha condannato per maltrattamenti in famiglia, lesioni e violenza sessuale un marocchino di 36 anni che per anni aveva segregato la moglie e in un secondo momento anche il figlioletto in un appartamento alla periferia nord di Rimini. Non solo i due non potevano uscire di casa ma la donna subiva continue violenza. Botte, offese, insulti e in un’occasione anche il tentativo di buttarla giù dal balcone con il bimbo il braccio.
La moglie era stata costretta più volte a scappare di casa. In aula, durante le udienze del processo è stata ricostruita dalla pubblica accusa, il sostituto procuratore Annadomenica Gallucci, quello che era un ambiente domestico estremo, fatto di una casa senza riscaldamenti, senza cibo sufficiente e una moglie “oggetto”.
Lo stesso imputato interrogato in aula ha ammesso che prima in Marocco nel matrimonio andava tutto bene perché la moglie cucinava e obbediva, in Italia invece diceva di essere sempre stanca anche per i doveri coniugali. “In Italia, mia moglie diceva sempre che la legge tutela le donne”, ha raccontato ai giudici.
Infatti, solo una volta arrivata in Italia, a Rimini, la donna ha trovato il coraggio di difendersi assistita dall’avvocato Aidi Pini, ha ripetuto in aula le accuse nei confronti del marito. Mamma di un figlio piccolo, all’inizio dell’anno aveva trovato il modo di chiedere aiuto alla Polizia di Stato facendo arrestare il marito per una serie di reiterati maltrattamenti.
Agli investigatori aveva raccontato di come fosse tenuta segregata in casa, picchiata anche quando era incinta e costretta quotidianamente a rapporti sessuali.
La donna, addirittura, aveva chiesto ai familiari che gli fossero spediti tramite un corriere alcuni vestiti, dato che lei non poteva uscire per comprarseli. In quell’occasione, quando il corriere suonò al campanello di casa, il marito le impedì di ritirare il pacco.