Il capataz Morrone deve aver pensato che la leadership forestiera della Lega, padrona del centrodestra riminese, andasse rafforzata aggiungendo a lui forlivese, all’aspirante sindaco bellariese ed all’ancella di contorno riccionese, anche uno di San Mauro, così da far contento pure il Pascoli.
La scelta è caduta su Gimmi Baldinini (nell’immagine in apertura), designato capogruppo; il quale, forte della sua attitudine, ha così fatto le scarpe al povero Pecci e all’indesiderato Ravaglioli, inviso perché, come sul dirsi, a Ceccarelli “mangerebbe la pastasciutta in testa”.
È dunque tornato a Rimini, riciclato da politico, l’imprenditorone che qualche anno prima l’aveva abbandonata con la puzza sotto il naso, come testimoniato da alcuni stralci di una lunga intervista al Carlino:
Baldinini, un bel colpo di scena, ma perché chiudere proprio questo negozio? «Perchè a Rimini le cose importanti non si vendono. Già a livello basso si vende poco, alto nemmeno a pensarci. Qui vengono i russi poveri, a Milano ci vanno quelli ricchi».
E dove ha intenzione di sbarcare adesso?
«In Spagna, dove ho già due negozi. I prossimi che apriremo sono quelli di Barcellona e di Maiorca».
Che fine faranno i dipendenti che lavorano lì dentro da una vita?
«Vedremo se potremo impiegarli da qualche altra parte, ma nel caso dovranno comunque spostarsi. Perché per quanto dispiaccia, non c’è niente da fare: i tempi cambiano».
Con un francesismo, si sarebbe potuto così sintetizzare il suo pensiero: “a cul la ville de Rimini”.
Nel 1988 mi occupai di costui in un mio articolo sul “Corriere di Rimini”. I turchi, da sempre oppressori del popolo curdo, condannano a morte il loro capo storico Ocalan, che per questo se ne va esule per il mondo. Mentre non si contano le proteste per quell’atto infame, il nostro che fa? Non si vergogna di dichiarare che i turchi, «seri e affidabili», hano fatto bene,
Ricordo come conclusi quel pezzo: «Essere diventato uno scarparo di lusso non lo autorizza a ragionare coi piedi».
L’eventuale sua elezione in Consiglio Comunale, al pari di quella di Mariotto, comporterebbe una spesa aggiuntiva: per il traduttore simultaneo.
Sì, perché l’unica volta che mi è capitato di sentirli parlare sono riuscito a capirne l’enigmatico eloquio solo perché ero seduto a fianco di un comune amico che, conoscendoli da tempo, è stato in grado di spiegarmi cosa stessero dicendo.
Bisogna però riconoscere che nello scritto il Bonfiglio se la cavicchia appena un po’ meglio che all’orale, arrivando alla musicalità di questi suoi peana a Salvini, pubblicati da affariitaliani.it:
«Ritengo fermamente che Matteo Salvini sia l’uomo giusto per guidare questo Paese assieme alla Lega, unico vero partito presente in Italia in questo momento. Partito che non ha mai cambiato idea sulla propria visione dello Stato, sempre coerente con i propri principi fondamentali, senza correnti»
Poi ancora: «Osservo che l’unico leader politico ad avere l’esatta percezione delle vere esigenze degli italiani sia Matteo Salvini, venuto a visitare la mia azienda qualche anno fa».
E per finire: «Salvini ha dimostrato di essere uno statista e di andare sempre avanti per la sua strada malgrado gli attacchi inflittigli a destra e a manca mantenendo, per usare il gergo nautico che ben conosco essendo amante della vela, la “barra a dritta”. Prerogativa di un capitano di cui ci si può fidare».
Queste sbrodolate di stima a Salvini evidentemente piacciono anche a Gloria Lisi, altrimenti perché si sarebbe messa nelle mani di Mariotto, diventandone la compiaciuta discepola? Fino al punto che, in quattro e quattr’otto e al prezzo di trenta metaforici denari, la sua passata solidarietà verso i disgraziati che entrano in porto assiepati sui barconi e maledetti da Salvini, è oggi sostituita dal fare comunella insieme agli ammiratori del “Capitano”, che invece escono dal porto a bordo delle loro eleganti barche. Come avrebbero detto i latini, «ab caritas ad opes».
Certo che risulta perfino comico il piagnucolio con cui la Lisi, come fanno spesso i voltagabbana, tenta di passare per vittima di un presunto disprezzo da parte di chi è invece soltanto rimasto dolorosamente sorpreso dal suo penoso “salto della quaglia”. Perché come si fa a non chiedersi che fine abbia fatto quella Lisi che fino a poche settimane fa cinguettava: «Jamil è prima di tutto un caro amico. Ho potuto apprezzare la sua disponibilità, generosità ed umiltà. Queste tre caratteristiche per me sono fondamentali nel ruolo di Sindaco ed è tutto più facile quando un candidato le possiede come doti personali. Grazie per la tua disponibilità ed il tuo coraggio, forza Jamil!!!!!!».
Che dire poi del suo continuo e patetico “sclerare” contro coloro che lei, e lei soltanto, ha voluto diventassero i suoi attuali avversari politici: «Mi infangano», frignava venerdì sui giornali.
Ma quando mai? Anche volendolo non ce ne sarebbe bisogno: s’è già abbastanza infangata da sola….
Post Scriptum
Il mio precedente corsivo ha suscitato l’inaspettata attenzione di alcune prestigiose firme, a partire da Nanà Arcuri, l’autore dei testi che poi Gloria Lisi recita con quell’aria da giovane (anzi, giovine) educanda. Questa la sintesi: «Gli sproloqui del veterano Nando Piccari (sono) più da guappo che da picaro. (Lui) tenta di blastare (con) una sequela di pezzi buoni per Novella 2000 (che) sembrano scritti da Barbara d’Urso, Se vuole lo possiamo aiutare standogli più vicino». (Che invidia quel “blastare”, che fa il paio con l’altrettanto dotto “Le baruffe chiozzotte”, fatto scivere giorni fa a Gloria!)
Vorrei informare Nanà che solo la buona educazione mi impedisce di dire quale indumento indosserei se lo avessi vicino. Facendogli inoltre notare che io le cose che scrivo me le firmo con nome e cognome; mica come chi è solito infamare la gente coperto da una falsa identità.
Un ben più stringato commento me l’ha dedicato Giuseppe Arangio, secondo il quale sarei «diventato cattivo» e «invecchiato male». Il che, detto da lui che è medico, qualche apprensione me la crea.
Dulcis in fundo, la lapidaria sentenza del Bonfiglio Mariotto, che quasi mi commisera, essendo io uno a cui «il buon Dio (che) non se ne cura, non da (meglio dà) niente».
Per forza, al Buon Dio non era rimasto niente da potermi dare, dopo tutto quello che aveva dato a lui: megafatturati, azioni a gogò, barche, auto di lusso, ville, crociere e, dulcis in fundo, una servizievole proselita a cui fare da protettore politico.
Alla quale va però riconosciuta la decenza di avere almeno fatto sparire in extremis dalla lista dei candidati la tipa già militante della fascistissima Forza Nuova, di cui avevo scritto la volta scorsa.
Vedi mo’ che qualche volta gli articoli di Novella 2000 servono a qualcosa.
Nando Piccari