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I Carabinieri del Ros scoprono a Rimini la raffineria della coca rosada

La chiamano “coca rosada”, ma non è cocaina. E’ una droga sintetica – tecnicamente definita 2CB – creata con sostanze chimiche senza alcun bisogno della pianta sudamericana. Dagli effetti devastanti: allucinazioni, eccitazione, nervosismo, sensazione di onnipotenza e di smisurata forza fisica. Lo scorso anno durante la Settimana della Moda di Milano veniva venduta nei locali vip della cerchia dei Navigli a duemila euro al grammo.

Questo pericolosissimo stupefacente è stato prodotto in una raffineria di Rimini. Lo hanno scoperto i Carabinieri del ROS con un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, durata un anno e mezzo.

Per produrre la coca rosada, una banda composta da italiani e albanesi aveva ingaggiato un chimico proveniente direttamente dalla Colombia. Diecimila euro la sua parcella, per una consulenza che ha richiesto diversi soggiorni a Rimini. La base della banda era sulla costa di Rimini nord, anche se nessuno degli arrestati qui, sette in tutto, risulta residente in provincia; altri due sono stati acciuffati a Forlì, ma l’operazione ha coinvolto anche personaggi anonimi che passavano del tutto inosservati, a cominciare dal capo. Tutti però senza un lavoro regolare, se non la copertura di un’agenzia per vendere automobili usate on line. Ma gente armata: a Rimini i militari hanno trovato un fucile con le sue munizioni, mentre nella banda non mancavano le pistole.

L’operazione è ancora in corso: dei 20 ricercati ne mancano all’appello due. E’ stata descritta nei dettagli dal generale Giancarlo Scafuri, vice comandante dei Ros, assieme al maggiore Luca Latino, comandante della sezione anticrimine dei Ros di Bologna, e al comandante provinciale dei Carabinieri di Rimini, colonnello Giuseppe Sportelli. Con loro anche il Commissario Capo della Polizia albanese Lajdi Korimi, che ha avuto una parte importante nelle operazioni, condotte in Italia da circa 70 militari e nel paese delle aquile nei pressi di Tirana.

Il commissario Korimi

La chimica veniva impiegata non solo per produrre sinteticamente droga, ma anche per estrarre la cocaina, quella vera, dai tanti camuffamenti usati per trafficarla. Ma anche per tagliare in modo altrettanto pericoloso la marijuana con il metadone, tramutando un “semplice” spinello in un’autentica bomba: la cosiddetta “amnesia”. Poi dalla raffineria – in apparenza un appartamento con garage come tanto altri – le droghe venivano smistate da una ben organizzata rete piramidale: tutto sotto controllo, dalla produzione al commercio all’ingrosso fino allo spaccio al dettaglio. E inondando non solo la riviera, ma anche altre piazze italiane senza trascurare neppure l’export: poco prima della frontiera con l’Austria i militari hanno intercettato un corriere che trasportava 5 kg di marijuana. E le ramificazioni raggiungevano anche Belgio e Olanda.

Diversi componenti della banda sono legati da vincoli familiari; addirittura uno zio non ha esitato a impiegare il nipote minorenne per mandarlo a spacciare. Intanto i soldi giravano a fiumi e venivano prontamente reinvestiti: i Carabinieri hanno accertato compravendite di droga da 800-900 mila euro.

“Abbiamo cercato di smantellare questa rete nel modo più veloce possibile – ha spiegato il generale Scafuri – prima che la stagione turistica arrivasse al suo culmine, ora che molte persone stanno arrivando in riviera per le vacanze dopo l’emergenza covid. C’era l’esigenza di togliere dal mercato sostanze davvero pericolosissime soprattutto per i giovani, che il più delle volte neppure ne conoscono gli effetti. Ma fra gli acquirenti abbiamo trovato persone di tutte le età”.

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