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Giovanni Falcone e Campo Trieste

A Campo Trieste eravamo come i ‘ragazzi della Via Paal.’
Il territorio che difendevamo strenuamente era il ‘Campo Trieste’. Una vasta area fabbricabile che si estendeva da Viale Cormons a Viale Trieste.
C’era ancora la buca di una bomba.

I due fratellini che avevamo catturato con contestuale sequestro del pallone col quale stavano giocando sul nostro Campo, provenivano da Viale Mantegazza, come da loro stessi ammesso. Sostenevano peraltro di essersi trasferiti da poco con la famiglia e di ignorare l’esistenza della banda con la quale eravamo costantemente in guerra.

Di solito i Mantegazziani venivano fatti prigionieri durante le battaglie, processati, condannati e, prima del rilascio, fustigati con una leggera canna da fiume dal medesimo bambinetto presentatosi subito come unico volontario: Iaia, (otto anni), così soprannominato per la sua abitudine di gridare “Iah…Iah…” ad ogni frustata inflitta sulle spalle nude delle vittime legate a un fico ai bordi del Campo Trieste. Supplizio ispirato ai film sui pirati visti in terza visione al Cinema dei Salesiani e quasi simbolico, data la sostanziale innocuità dello strumento e la debolezza dell’esecutore. (Qualcuno, per la verità, veniva risparmiato, soprattutto se si era battuto secondo le regole: lotta, pugni niente  calci né oggetti contundenti).

A rappresentare l’accusa, c’era sempre Fulvio, un quindicenne serio e magro che, anche in questa occasione, si dimostrò inflessibile. Non c’era alcuna prova – affermò – che i due, provenendo per loro stessa ammissione da Viale Mantegazza, non facessero parte della Banda rivale e, in ogni caso, alla violazione del nostro Campo doveva seguire una condanna che fosse d’esempio per tutti. Altrimenti prima o poi saremmo stati invasi anche dai bambini dei villeggianti!

Gilberto, come al solito nel ruolo del difensore sostenne invece  l’attendibilità  delle giustificazioni  degli imputati che nessuno di noi aveva visto prima e che avevano risposto alle nostre domande con evidente sincerità.

Il Processo si svolse alla presenza di una trentina di bambini e ragazzini seduti in circolo per terra. A decidere fu Giorgino. Cicciottello, quinta ginnasio, gli avevamo assegnato il ruolo di Giudice senza che lui l’avesse mai chiesto. La sua sentenza, al solito, fu equilibrata. I due vennero lasciati liberi ma senza il pallone. Che, peraltro, gli sarebbe stato restituito una volta accertato il loro recente trasferimento a Rimini. Come effettivamente avvenne.

Debbo questo tuffo nel passato alla associazione tra i miei ricordi e uno scritto di Giovanni Falcone, citato in un recente convegno delle Camere Penali, ove questo indimenticabile Magistrato sostiene che “le figure del Giudice e del PM debbono essere differenziate in quanto non solo sono diverse le loro funzioni ma anche il loro habitus mentale”.

Habitus mentale. Vale a dire una tendenza naturale a esercitare il medesimo ruolo che, dunque, può manifestarsi sin dalla più tenera età.
Difensori e accusatori che si propongono.
Un giudice che viene eletto.

Giuliano Bonizzato

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