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Fusioni dei comuni, un’idea controcorrente

Una riflessione dopo il terremoto che va oltre al dramma delle vittime, della distruzione, dei feriti e degli sfollati. Noi in questi giorni abbiamo imparato i nomi di Comuni che erano ai più sconosciuti. Al di là di Amatrice e Norcia, gli altri paesi colpiti dal terremoto non si conoscevano: Accumoli, Preci, Arquata del Tronto ecc. Almeno, non erano noti ai più. Comuni piccoli, si va da poco più di 600 abitanti di Accumuli ai circa 5.000 di Norcia. Tanti servizi televisivi da quelle località cercavano di intervistare persone che ci dicessero qualcosa di quelle comunità. E chi intervistavano? Il parroco, il farmacista o il dottore condotto ed il Sindaco.

Già il Sindaco. Quello con la fascia tricolore sopra alla felpa imbiancata dalla polvere delle macerie. Quello che cercava e cerca di mantenere unita la comunità, dare una speranza, parlare con il Governo. Il cittadino (primo) che conosce il suo territorio, conosce le frazioni, le famiglie.

Ora, all’insegna della riduzione dei costi della politica, si vorrebbero cancellare anche quei sindaci. La nuova parola d’ordine è “fusione”. Unire più comuni, da tre (o anche più) municipi per farne uno solo. In cambio, il nuovo Comune uscito dalla fusione avrà finanziamenti aggiuntivi per un numero importante di anni.

Evidente che quelle comunità che fanno fatica a “sbarcare il lunario”, che hanno sì e no le risorse per pagare uno o due dipendenti comunali, vedono in ciò un’opportunità per dare risposte ai propri cittadini ed ai propri territori. Presi per la gola, mi viene da dire. Ma questa è la strada giusta? Penso di no.

Penso che non sia giusto cancellare storie millenarie, togliere dall’atlante i nomi di comuni storici per il nostro Paese. Infatti parliamo sì di piccoli comuni, ma che sono nati centinaia di anni fa. Accumuli ad esempio è un Comune del XII secolo.

Penso che sia sbagliato, in nome dei costi della politica, fare questo sfregio alle nostre identità. In molti casi, proprio perché viene vissuta in questo modo, i nomi dei nuovi comuni sono la somma di quelli precedenti: Montescudo-Montecolombo, Poggiotorriana, Polesine Zibello, Maccagno con Pino e Veddasca,, e potrei continuare. In altri casi si è scelto un nome del tutto nuovo, come quello di Alto Reno Terme. Sarei curioso di sapere quanti sanno dove si trova questo comune. Se continuo a dire Porretta Terme (comune fuso con Granaglione da cui è nato appunto Alto Reno Terme) in Italia e non solo, tanti mi avrebbero capito subito.

Io credo sia possibile un’altra strada che colga ed affronti un problema reale: mi riferisco ai costi di gestione di questi piccoli comuni e la necessità di fare sinergia e massa critica. Capisco che l’esperienza delle Unioni dei Comuni sia stata e sia alquanto complicata. D’altra parte, si è scelto di mettere in campo un ulteriore livello istituzionale: l’Unione appunto, con il suo Consiglio i suoi eletti (anche se di II grado) il suo Presidente ecc.. ecc..

Semplifichiamo. Facciamo degli ambiti funzionali ed in quel contesto, a prescindere di quanti Comuni vi siano, si procede con: un solo Segretario generale, una sola ragioneria, un solo ufficio tecnico, un solo corpo dei vigili urbani, un solo ufficio personale. Cioè accorpiamo le funzioni e i servizi, ma lasciamo le rappresentanze istituzionali. Incentiviamo questi processi al pari di chi, comunque, vuole procedere con le fusioni. Evitiamo di obbligarli per poter continuare ad amministrare.

Non saranno quei costi della politica a fare la differenza. Lasciamo quel Sindaco con la fascia, che è in prima fila nei drammi, ma è anche in prima fila tutti i giorni, nella quotidianità, a dare risposta anche quando non è in condizione di farlo.

Lasciamo quel cittadino che per un periodo decide di rappresentare anche gli altri, nelle Istituzioni del nostro Paese. È un costo che è giusto sostenere, altrimenti quelle comunità saranno forse più “ricche” di qualche Euro in più, ma molto più povere nello spirito.

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