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FUSIONE: NÈ BESTEMMIA NÈ MANTRA

Per non essere monotono non sarei tornato sull’argomento, almeno per il momento, ma il dibattito che si è aperto su Chiamami Città, e la “forte discussione” con ho avuto domenica sera con l’amico Maurizio Melucci alla Festa de L’Unità di Riccione, mi spingono a farlo.

Il termine “fusione”, riferito ai comuni, fino a pochi anni fa, soprattutto per un amministratore, era un termine impronunciabile: una bestemmia. Oggi non deve diventare un mantra.

Se le fusioni dovessero essere fatte esclusivamente per risparmiare i costi della politica non ve ne sarebbe ragione, perché nei piccoli comuni i costi della politica fanno ridere. Se le fusioni invece dovessero essere obbligate “di fatto”, prendendo per la gola i piccoli comuni, o, ancora peggio per obbligo di legge, come vorrebbe un certo numero di parlamentari, non avrei dubbi nell’essere contrario.

Le fusioni alle quali penso io, quelle previste dalla Legge Regionale, e che sostengo a spada tratta, sono altro. Sono processi che nascono dal basso, che muovono dalle progressive modificazioni storiche, culturali, sociali ed economiche che hanno portato alla costituzione dei comuni, che passano attraverso studi di fattibilità seri, e che si concretizzano solo con un pronunciamento delle comunità, a ragion veduta, attraverso Referendum.

Perciò dico che non è corretto fare una fotografia burocratica delle fusioni, tirando righe sulla cartina geografica o intravedendo unicamente ipotesi di collage più o meno rabberciati, con unico scopo di fare cassa. Così come non trovo utile ideologizzare il confronto, ne in un modo ne nell’altro.

La fusione è un processo culturale che tiene conto dei cambiamento dei tempi e delle realtà e rappresentano una risposta al problema dimensionale dei comuni italiani ed al deficit di competitività dei nostri sistemi locali. A questo tema ci stiamo avvicinando con un certo ritardo, ma questa è la sfida che abbiamo di fronte.

Certo, la discontinuità che comporta il processo di fusione è tale da ingenerare resistenze al cambiamento ai diversi livelli, nell’estabilishment politico amministrativo, minacciato nella tenuta degli equilibri di potere locali, nelle organizzazioni, esposte a livelli inediti di incertezza, nei cittadini, che temono di perdere i propri riferimenti istituzionali e culturali.

La vera sfida però è nel valore che il Comune Unico saprà restituire in termini di risposta ai bisogni di una comunità nuova e in profondo cambiamento. Sta tutto qui oggi il tema dell’identità. La vera minaccia all’identità di una comunità non è il timore di perdere l’appartenenza culturale o territoriale o il campanile, che pure processi di fusione possono comprensibilmente ingenerare; la minaccia all’identità è dovuta al rischio, lasciando così le cose, di perdere i servizi, di retrocedere in qualità della vita, di affievolire il valore pubblico di comunità.

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