E’ di qualche settimana fa la notizia che il comitato Gabicce in Romagna ha depositato le firme necessarie per far indire un referendum tra i cittadini del comune delle Marche per il passaggio alla regione Emilia – Romagna.
Sostengono la proposta di cambio di Regione tutte le forze politiche e liste di minoranza compresi i 5 Stelle, che anzi sono tra i più attivi. Contrari, la maggioranza ed il sindaco di Gabicce, che fanno riferimento al Pd.
Il quesito del referendum che viene proposto è molto semplice: Volete che il territorio del comune di Gabicce Mare sia separato dalla Regione Marche per entrare a far parte integrante della Regione Emilia-Romagna?
Nulla di eccezionale, in un Paese come l’Italia dove la riorganizzazione istituzionale è in alto mare. Dopo la sconfitta dei Sì al referendum costituzionale di dicembre sono rimasti aperti tutti i problemi ad iniziare dal ruolo, riconfermato, delle provincie.
Ma in questo caso la notizia è meritevole di altre considerazioni.
Questo di Gabicce sarebbe il 12 referendum per distacco dalle Marche. Infatti ai sette referendum che hanno interessato i comuni dell’alta Val Narecchia, si sono svolti anche i referendum nei comuni di Montecopiolo, Sassofeltrio, Mercatino Conca e Monte Grimano Terme. In questo caso solo i due primi comuni hanno raggiunto il quorum. Montecopiolo e Sassofeltrio stanno spingendo per l’approvazione delle legge nazionale che permette il passaggio in Romagna. Legge osteggiata dai parlamentari del Pd delle Marche e non solo.
Proprio in questi giorni i cittadini dei due comuni hanno ripreso la protesta e spingono per uscire dal limbo nel quale si trovano. Infatti la proposta di legge che prevede il passaggio di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla Regione Marche alla Regione Emilia Romagna è scomparsa dal calendario dei lavori della Camera dei Deputati.
Detto questo, le Marche rappresentano un caso unico in Italia. Da nessun altra parte si verifica una tale emorragia di Comuni che vogliono abbandonare la Regione di appartenenza Le ragioni che vengono addotte sono sia di carattere culturale e storico, che funzionale: servizi amministrativi, sanitari, scolastici più vicini nella regione di confine rispetto alla propria.
Ma al di là del campanilismo, quanto sono fondati questi argomenti? A un esame attento, non moltissimo. Per esempio i valori culturali e storici che accomunano determinati territori (e in un paese con millenni di storia e cultura come l’Italia se ne possono trovare a vagonate) a non richiedono cambi di confini, ma salvaguardia e promozione. Rincorrendo le suggestioni del passato, ci può sbizzarrire all’infinito: perché Marradi deve stare allora in Toscana, visto che si parla romagnolo e si trova ben al di qua dell’Appennino? D’altra parte, la Lunigiana è geograficamente in Toscana, ma storicamente e linguisticamente è molto più legata al Parmense. E nelle stesse Marche, certamente un Fanese ha più punti di contatto con un Romagnolo che con un Ascolano.
Per quanto riguarda i servizi ai cittadini, basta stipulare accordi con le Regioni vicine e risolvere gli aspetti di carattere burocratico, come del resto già si fa, consentendo di accedere a quelli della Regione che risulti più agevole.
Ma questi sono ragionamenti oggettivi. Poi interviene la politica. Si solletica l’orgoglio degli elettori della Regione che dovrebbe ingrandirsi (“Tutti vogliono venire da noi”) senza calcolare costi e benefici, mentre dall’altra parte si dà fuoco alle polveri ad una battaglia “irredentista” nella Regione confinante, che viene inevitabilmente destabilizzata. Non a caso i secessionisti vengono regolarmente sostenuti dalle forze politiche di minoranza (o comunque diverse dalla maggioranza che governa la Regione) per aumentare i propri consensi , presentando il cambio di Regione come panacea di tutti i mali.
Però, visto che da noi, unici in Italia, l’esperienza è stata già fatta più di dieci anni fa (anche se la carta meteo della Rai ER non se n’è ancora accorta), basterebbe osservarne i risultati. La storia in Romagna ha insegnato che il passaggio dei 7 comuni dell’alta Val Marecchia è costata alcune decine di milioni di euro alla regione Emilia Romagna. In quei comuni è rimasta una forte componente localista ed è difficile mettere in campo politiche di ambito. Difficile far funzionare l’Unione dei Comuni, mentre il Gal della Val Conca e Val Marecchia rischia di accentuare ulteriormente l’isolamento di quelle realtà dai territori confinanti.
Ma vi è anche un aspetto di carattere democratico. L’attuale normativa nazionale sul passaggio di Comuni da una Regione ad un’altra prevede il referendum solo tra i cittadini dei comuni interessati al cambio. Forse sarebbe opportuno prevedere il referendum anche per i cittadini della provincia che deve accogliere. I matrimoni si fanno con due sì.