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Francesco Riccio: “Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure”

Il glorioso quotidiano del Partito Comunista Italiano, “L’Unità”, fondato nel 1924 da Antonio Gramsci, cessò le pubblicazioni a fine luglio 2000, travolto dai debiti. Poi nei vent’anni successivi risorgerà e morirà più volte grazie ad iniziative di gruppi privati, ma senza molto successo di vendite.

Al momento della chiusura, nel 2000, Pietro Spataro, classe 1956, era vice-direttore de L’Unità e poi partecipò ai vari tentativi di rinascita della testata. Dal settembre 2017 è il coordinatore del sito di news e commenti, vicino a LEU e pieno di punzecchiature al PD, “Strisciarossa”, che una volta all’anno diventa anche editore. Naturalmente l’attenzione non poteva che essere rivolta ad una memorialistica sulle vicende del PCI. Pubblicazioni curate da ex giornalisti de L’Unità, con prefazioni di importanti dirigenti comunisti che con il giornale ebbero a che fare.

Il primo volume è stato quello di Paolo Soldini “Quando il muro cadde anche in Italia” (2019), con prefazione di Walter Veltroni, seguito da “Care compagne e cari compagni. Storie di comunisti italiani” (2020) con prefazione di Livia Turco e dal volume di Francesco Riccio “Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure” (2021) con prefazione di Gianni Cuperlo.

Il volume di Riccio racconta la storia di un giovane calabrese di Locri, classe 1949, trasferitosi a Bologna nel 1967 per frequentare l’università. Qui invece si butta nella vita politica: da militante prima, poi segretario della Sezione Fregnani, responsabile scuola e poi stampa e propaganda, capo ufficio stampa della Federazione bolognese, responsabile nazionale delle Feste de L’Unità, presidente della società ARCA editrice del giornale, tesoriere nazionale del Partito.

Una vita passata tra lo splendido palazzo di Via Barberia a Bologna, sede della Federazione Comunista più importante d’Italia, e poi in Via Botteghe Oscure a Roma. E Riccio racconta gli incontri, le frequentazioni, le amicizie con i massimi dirigenti (ma non solo) di PCI, PDS e DS. Non del PD, partito a cui non si è mai iscritto.

Ma soprattutto parla delle feste de L’Unità, quelle nazionali e locali, dove la comunità dei comunisti italiani dava il meglio di sé. Macchine complesse, una organizzazione che doveva girare alla perfezione per coordinare migliaia di volontari, accogliere milioni di persone, realizzare la connessione sentimentale tra la politica del partito e il suo popolo, curare le relazioni e le iniziative politiche nazionali e internazionali, garantire buoni incassi per finanziare il partito. Feste con tanti problemi dopo il 1989 “quando casca tutto” e bisogna gestire la svolta dal PCI al PDS.

“Successe di tutto in quel 1991”. E qui Riccio dedica alcune pagine ai suoi ricordi del XX Congresso del PCI tenutosi a Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991. “La fase costituente di una nuova formazione politica, iniziata con il Congresso di Bologna, giungeva a termine non senza dolori e rancori. A Rimini si ammainò il vecchio simbolo per fare sorgere quello del Pds. Un grande albero, poi indicato come quercia, che mantiene in basso come un francobollo il simbolo del vecchio Pci, destinato a scomparire poco dopo”.

“Il Congresso si svolse a Rimini non già per qualche aspetto evocativo. Mica dovevamo veder passare il Rex o flirtare con la Gradisca. No, si trattava di ospitare tanta gente e a costi bassi, la cinghia ormai avevamo cominciato a stringerla. Solo la capitale della Riviera poteva garantire in inverno tali requisiti”.

La maggioranza di Occhetto aveva l’80% dei delegati. “Ma il dramma doveva ancora consumarsi. Si doveva votare il segretario a scrutinio segreto. Il numero dei delegati era molto alto, per tanti era il primo Congresso, molti non venivano dal Pci, alquanto indisciplinati. L’organizzazione della commissione elettorale non era certo il massimo dell’efficienza. Molti delegati si erano allontanati. Il segretario Occhetto, malgrado la grande maggioranza della sua mozione, non fu eletto. Non mancarono accuse, polemiche, rancori. Intanto gli operai della fiera avevano rimosso anche il simbolo e spente le luci. Addio Pci”.

Al termine della serie di racconti del suo viaggio durato oltre trent’anni nel PCI, PDS e DS, da militante-funzionario-dirigente, narrati con passione ed ironia, Francesco Riccio, per tutti Ciccio, afferma con sicurezza: “Io lo rifarei”.

Paolo Zaghini

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