La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata “Il Rinascimento cattivo. Sesso, avidità, violenza e depravazione nell’età della bellezza”, un libro dell’inglese Alexander Lee pubblicato da in Italia Bompiani. Un elenco di misfatti in buona parte occupato da quelli del “wolf of Rimini”, Sigismondo Pandolfo Malatesta. E quel che è peggio, questa fantasiosa etichetta di “lupo di Rimini” è apparsa addirittura in un sito internet di bagnini riminesi.
A quel punto Ferruccio Farina non ci ha visto più. E ha deciso di scrivere “Sigismondo Pandolfo Malatesta 1417-1468 -Le imprese, il volto e la fama di un principe del Rinascimento”, introduzione di Remo Bodei, edito da Maggioli, che è stato presentato ieri in Castel Sismondo.
Castello assediato dalla folla che è rimasta in parte perfino fuori dalla porta, tanto la sala era gremita per ascoltare i relatori: il sindaco Andrea Grassi per il saluto, quindi Monica Centanni, docente a Venezia; Michele Brambilla, direttore della Gazzetta di Parma; lo studioso riminese Pier Giorgio Pasini; lo stesso Ferruccio Farina.
Non una passerella celebrativa, ma un vero dibattito con voci anche dissonanti, a riprova di come un personaggio della portata di Sigismondo faccia ancora discutere a sei secoli dalla sua nascita.
Monica Centanni ha rimarcato tutti gli elementi che fanno di Rimini non una delle tante piccole corti rinascimentali, ma probabilmente la prima, già dal 1438-39, quando il filosofo greco Giorgio Gemisto Pletone vi giunge e innesca il dibattito culturale che aprirà la stagione del Rinascimento: «Come conciliare Aristotele con Platone. E quindi la riscoperta dello stesso Platone e della lingua greca per leggere qui testi nell’originale. Inizia il grande ritorno alla classicità». A quelle date Lorenzo il Magnifico non era neppure nato: e la straordinaria fioritura artistica dei Leonardo, Michelangelo e Raffaello era ben di là a venire.
Pasini, inaspettatamente, dopo una vita dedicata a Sigismondo ha confessato invece i suoi dubbi: fu vera gloria? E quanto il Malatesta era davvero consapevole e compiaciuto della rivoluzione culturale attuata da Piero della Francesca e Leon Battista Alberti?
Ma il libro di Farina è dedicato soprattutto a un altro tema; quanto mai attuale, come ha evidenziato, da giornalista, Michele Brambilla: «Sigismondo fu vittima di un’autentica campagna di diffamazione, che utilizzò le stesse tecniche che oggi vediamo utilizzare sui social, o che in passato vedemmo contro personaggi come il commissario Calabresi. Senza voler proporre paragoni fra questi personaggi, dato che Sigismondo non fu certo un santo ma un principe del suo tempo, è impressionante quanto le falsità sparse sul suo confronto si siano fissate nel tempo fino a entrare nei libri di storia».
A riprova che il “Calunniate, calunniate: qualcosa resterà” funzionava allora come ha funzionato ai tempi di Goebbels e prospera tutt’ora nell’epoca dei social.
Il diffamatore, naturalmente, fu papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini. Con le sue accuse terribili contro il Malatesta: assassino delle sue mogli, stupratore, eretico, traditore seriale. Bugie, soprattutto le prime, che non stavano né in cielo né in terra, tanto che nessuna delle potenti famiglie cui appartenevano le presunte vittime di questa specie di Anticristo ebbe mai seriamente a recriminare. «Ma colpisce – ha notato Brambilla – la virulenza, la sproporzione di queste infamie da parte di un pontefice. Un cristiano non parla così. E un papa non arriva a condannare agli inferi qualcuno ancora in vita e a maledirne la stirpe fino alla quarta generazione».
Entrano allora in ballo i fattori psicologici. Al di là delle concrete motivazioni di interesse politico, perché Pio II arrivò a detestare Sigismondo a tal punto?
«Invidia», è la risposta che Farina dà nel suo libro: «Pio II era brutto e poco amato, perfino nella sua Siena. Sigismondo invece era bello, aitante, ammirato. Certo era prepotente, arrogante, ambizioso. Ma di quanti politici, anche di oggi, si potrebbe dire lo stesso?». E a dispetto degli storici, tutti tesi a ricercare le motivazioni razionali dei fatti, molto spesso sono state e sono quelle più personali, psicologiche appunto, a indirizzare gli eventi.
Di qui la dichiarata volontà di scrivere un’opera di parte. Anzi: «di cuore». Ma rigorosamente documentata, citando scrupolosamente le fonti – una vera messe – così che sia il lettore a farsi la propria idea. Farina quindi si limita a elencare dei fatti e non giudica nemmeno il papa diffamatore. «Non per iscritto», aggiunge però, beffardo.
Stefano Cicchetti