A Rimini siamo già entrati nel 2017, anno in cui ricorre il 600° anniversario della nascita di Sigismondo Pandolfo Malatesta (nonché il decennale della Domus del Chirurgo). Personaggi come il recente Sigismondo d’Oro Massimo Ciavolella o l’ex sindaco Giuseppe Chicchi hanno offerto spunti su come la città potrebbe celebrare l’avvenimento. E proprio ora si sta per concludere, non distante da Rimini, un’iniziativa che per il successo che ha ottenuto può fornire utili elementi di valutazione.
Uno degli ultimi “casi” culturali in Italia è infatti la mostra Orlando Furioso 500 anni ancora aperta a Ferrara fino a domenica 29 gennaio. Chiusura posticipata di quasi un mese, poiché l’afflusso all’evento è andato oltre ogni aspettativa. Inaugurata il 24 settembre, la mostra ha attirato visitatori ad una media di mille al giorno, per totalizzare 120 mila presenze in 80 giornate di apertura. Con la proroga si prevede di sfiorare i 150 mila visitatori. E intanto il catalogo è andato esaurito.
Tantissima gente, dunque, nonostante l’inverno non sia la stagione canonica per le grandi mostre. E nonostante le file interminabili per poter entrare nel Palazzo dei Diamanti, dove è allestita l’esposizione (a meno di aver prenotato la visita on line, ma a quanto pare lo ha fatto minoranza). Anche domenica scorsa, bisognava attendere all’aperto almeno due ore – e anche di più nelle fasce di punta – sul marciapiede di Corso Ercole I d’Este, con temperature vicine allo zero.
Il pur bellissimo Palazzo dei Diamanti, infatti, non possiede spazi sufficienti per accogliere contemporaneamente grandi folle. E qua e là, i servizi hanno anche mostrato qualche pecca: come l’assenza – purtroppo frequente negli spazi espositivi italiani – di un punto di ristorazione interno, mentre l’unico distributore automatico di bevande calde risultava guasto.
Eppure, la qualità assoluta delle opere esposte e dell’allestimento ha evidentemente messo in second’ordine ogni inconveniente: i commenti entusiastici da parte dei visitatori hanno creato un passaparola che è valso più di ogni campagna di promozione.
E del resto, basta scorrere solo alcuni nomi del catalogo: Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Mantegna, Giorgione, Botticelli, Tiziano, solo per farsi un’idea. Un’occasione più unica che rara per vedere tutti insieme i loro capolavori, oltre a quelli di artisti meno noti al grande pubblico quanto fondamentali per la narrazione. Pezzi giunti in prestito a Ferrara dai musei e dalle collezioni di mezza Europa: Uffizi di Firenze, Prado di Madrid, Louvre di Parigi, National Gallery e British Museom di Londra, e perfino dalla raccolta personale della regina Elisabetta II d’Inghilterra.
Il tutto per celebrare il 500° anniversario della prima pubblicazione dell’Orlando Furioso e per immaginare “Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”: quanto a dire, il meglio del meglio del rinascimento italiano. Ma secondo la lettura intelligente e raffinata che ne hanno dato i curatori del percorso, Guido Beltramini e Adolfo Tura. I quali, accanto ai capolavori conclamati, hanno saputo collocare oggetti rarissimi quanto significativi: dal presunto, e squisito corno, o meglio, “olifante d’Orlando” alle prime edizioni del “Furioso”: dagli arazzi che celebravano le vittorie di Carlo V ai reperti antichi cui si ispiravano le corti rinascimentali. Passando per la meravigliosa, prima mappa del Nuovo Mondo appena scoperto da Cristoforo Colombo che il duca di Ferrara si fece realizzare in Portogallo. E ancora, sculture, manoscritti miniati, strumenti musicali, armi e oggetti preziosi: oltre 80 opere conosciute o ammirate dal poeta, per tentare di ricostruire il mondo di immagini che alimentò la sua fantasia.
In aggiunta alla mostra vera e propria, è stata organizzata una lunga serie di eventi teatrali e musicali, più la mostra bibliografica e documentaria “1516-2016. Furioso da cinque secoli, ancora Orlando, per sempre Ariosto” alla Biblioteca Ariostea.
Maria Luisa Pacelli, che ha concepito l’idea della mostra, ha lavorato per tre anni alla sua organizzazione. L’ente promotore della manifestazione è la Fondazione Ferrara Arte, controllata interamente dal Comune di Ferrara. Le sono venuti in aiuto, a vario titolo e in varia misura, il Ministero dei Beni culturali, la Regione Emilia Romagna e vari sponsor tecnici, mentre partner ufficiale della mostra è ENI.
Il bilancio finale dell’evento sarà presentato fra breve. Ma intanto si sa già che sarà raggiunto il pareggio, se non con un piccolo attivo: le spese sono state di quasi 2 milioni di euro, ma gli sponsor e soprattutto il botteghino andranno a ripianarle completamente.
Fino al 2016 il complesso degli eventi culturali ferraresi, compreso il teatro comunale e Ferrara Arte, è costato al comune fra i 2,5 e i 3 milioni di euro l’anno. Ma 5-6 anni fa, il budget a disposizione, grazie ai contributi della fondazione Carife, era più alto di quasi due milioni. Le vicissitudini della banca, praticamente sparita, hanno quindi fatto venir meno un consistente afflusso di risorse. Ma Ferrara non ha fermato la sua politica culturale ed ha anzi rilanciato, puntando il tutto per tutto sulla qualità.
Stefano Cicchetti