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Ferito dal vecchio bancone: e se facesse causa al Comune di Rimini?

Nella notte delle streghe che concluderà questa domenica, qualcuno al Comune di Rimini non dormirà. E non per gli schiamazzi e le messinscene a base di maschere horror che riempiranno piazza Cavour, ma per un dubbio angoscioso: e se il ventiduenne riminese che in una bravata notturna ha smozzicato uno dei banconi in pietra d’Istria della Vecchia Pescheria decide di far causa all’Amministrazione? Già, perché il bancone, pur vecchio e indifeso, non si è lasciato seviziare senza opporre resistenza e ha cercato di restituire qualche colpo all’aggressore, che pure lui è rimasto ferito. 

Considerato come vanno le cose in Italia, facile immaginare che un avvocato creativo e pugnace farà di tutto per ribaltare la situazione a favore del suo assistito, nel solco del mitico avvocato Aldo Ceccarelli, romano ma con un cognome che potrebbe essere riminese. Lo ricordate? Ceccarelli fu il difensore dei vandali che nel 1997 si tuffarono nella fontana di piazza Navona danneggiando una delle sculture del Bernini.

Questa, all’epoca, la sua linea di difesa, tradotta dal romanesco: «Se il Comune di Roma si costituisce parte civile, noi gli chiederemo dieci milioni di risarcimento perché la fontana era fracica. Fracica, marcia, erosa dall’umidità. E il mio cliente ha rischiato di morire lanciandosi». Allora tutta l’Italia si fece grasse risate, ma Ceccarelli ha creato un precedente che ventiquattro anni dopo, nell’era della suscettibilità e del culto del rischio zero, potrebbe non sembrare più così ridicolo.

«Signori della corte, guardate questo ragazzo, questo inerme ventenne che non ha mai fatto male a una mosca: vi sembra l’incredibile Hulk? Superman? La Cosa dei Fantastici Quattro? No, signori, è solo un burdèl che a stento spezzerebbe una cialdina del Pellicano, un bambinone che si divertiva spensieratamente con gli amici d’infanzia, assaporando la sospirata libertà dopo un anno e mezzo di restrizioni. E ora osservate bene la presunta vittima, il bancone: duro, grigio, scostante, duecento anni passati a farsi sbattere addosso polpi e cefali, abituato a veder sgozzare senza batter ciglio migliaia di innocenti creature marine, a sentirsi lordare dal loro sangue ogni santo giorno. E che adesso recita davanti a voi la parte dell’agnellino indifeso, mentre, come dimostrano le escoriazioni riportate dal mio assistito, ha infierito sulle sue tenere carni e andrebbe come minimo denunciato per eccesso di legittima difesa. Ma io mi domando: più colpevole di questo bancone non è chi lo lascia libero di nuocere ai nostri figli, trascinati solo della giovanile esuberanza? Sì, signori della corte, mi riferisco all’amministrazione comunale, che, per un malinteso buonismo oggi tanto di moda, non tiene a bada questi manufatti corrosi dal tempo e dai vizi, eccetera eccetera».

L’arringa si scrive da sola. Anzi, già sarà molto se il difensore del giovane non dirà che il bancone in fondo se l’è cercata, perché un bancone di pescheria serio e per bene se ne sta, per l’appunto, al chiuso dentro una pescheria, e non all’aperto in pieno centro, per di più di notte e in una zona fitta di locali dove si servono alcolici. Che quel bancone e il suo gemello dirimpettaio sono due notori pervertiti che si fanno strofinare dai sederi e perfino dai piedi di maschi e femmine. E che un bancone duecentosessantenne, quindi non certo un novellino, dovrebbe sapere che se dà troppa confidenza a un ventiduennne possono succedere dei guai…

Vedremo come andrà a finire. L’unica cosa certa è che ora a perderci qualcosa, in tutta la faccenda, siamo noi riminesi, colpiti in uno dei luoghi cui siamo più affezionati, uno dei più identitari. E se dovessimo mandare a qualcuno un messaggio affettuoso e un augurio di pronta guarigione, lo manderemmo prima al povero bancone della Vecchia Pescheria che al giovane vandalo.

Lia Celi

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