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Quando Fellini e Garboli si ritrovarono sul lungomare immaginario

Adelphi ha appena pubblicato La gioia della partita, una raccolta di testi del grande critico letterario Cesare Garboli, curata da Laura Desideri e Domenico Scarpa.

Un capitolo del libro è intitolato «Il miele insolente di Federico»: cioè Fellini. Nel testo, di sapore autobiografico, si racconta proprio dell’incontro fra i due. Di quando erano vicini di casa a Roma e di come per un certo periodo si fossero “spiati” a vicenda. Consapevoli che prima o poi le loro vicende si sarebbero incrociate, ma entrambi frenati da un incrocio di timidezza e narcisismo.

Finalmente, con reciproca sorpresa, le barriere caddero grazie all’elemento che avevano in comune: il venire da quella provincia sui generis che sono le località turistiche. Garboli era infatti nato a Viareggio, per tanti versi così simile a Rimini.

La scena dell’incontro è degna delle sequenze felliniane: «Per un po’ ci spiammo come si annusano due cani. Poi decidemmo che ci eravamo visti da sempre. Per un paio di settimane fu consumata una strana amicizia, di quelle che scoppiano improvvise quando la vita deve ancora venire, mentre era già passata per tutti e due. Uscimmo dall’imbarazzo una sera che camminavamo su e giù per via del Babuino. Era dopo mezzanotte. I passi ci allontanavano e ci portavano verso piazza di Spagna come fossero allentati e tirati da un elastico. E invariabilmente, uscendo sulla piazza, lo sguardo mi cadeva sulla vecchia barcaccia sfondata, isolata ai piedi della scalinata. Prendeva riflessi sempre più bianchi. A un tratto mi venne sete. Raggiunsi la fontana e mi chinai a bere alla sorgente di marmo. Rialzandomi sbirciai l’orologio. Erano le tre del mattino. Mi asciugai la bocca, guardai Fellini e gli dissi l’ora. Stavamo pensando la stessa cosa. Fellini è di Rimini, io sono cresciuto a Viareggio. Non avevamo certo gironzolato per le strade di Roma. Avevamo camminato su e giù per il lungomare deserto quando tutti sono andati a dormire e la stagione è finita. Decidemmo che con quella passeggiata notturna, in un paio d’ore, ci eravamo lasciti alle spalle tre o quattro anni di giovinezza in comune». 

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