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Essendo il partito impotente di fronte al notabile, siano le primarie a scegliere

La debolezza di un partito è misurata dalla forza dei notabili locali. Quella del Partito democratico è misurata dalle lotte nelle regioni dove è ancora forte o al governo. Le vicende della Toscana e dell’Emilia-Romagna sono il segno di una divisione di fazioni che porterà a breve a un congresso e a decisioni, si spera, risolutive.

Intanto, nei territori, la questione delle candidature in vista delle prossime elezioni per i governi locali (annunciate per dopo l’estate) mostra la penosa situazione di cittadini situati nella stessa parte che si trattano come nemici. Come si seleziona un candidato a sindaco intorno al cui nome il partito si impegna? Nel Partito democratico i metodi sono due: il consenso raggiunto attraverso una discussione interna, tra i dirigenti; oppure le primarie. Queste ultime, usate e abusate fino a tempi recenti, hanno dimostrato di dividere invece che unire. Perchè anche quando si giunga alla designazione del candidato non è poi certo che la minoranza voti diligentemente. Le primarie hanno enormi problemi che meriterebbero più di un articolo di giornale. Comunque, fino a quando sono nello statuto del partito, usarle è nella norma.

In qualche caso diventa, anzi, necessario. I casi di Bologna e di Rimini faranno storia al riguardo. Ora, la debolezza del partito di scegliere collegialmente ed imporre un candidato senza passare per le primarie, è all’origine del potere di nomina dei sindaci uscenti, i quali scelgono tra i membri della loro giunta. Un argomento usato per giustificare questa pratica è che la sucessione interna sarebbe a garanzia della competenza con il governo della città.

Una logica assurda in una democrazia e che andrebbe bene in un governo oligarchico: la distribuzione delle cariche tra il gruppo ristretto di chi già ha cariche in quel luogo. Una delle ragioni per cui i costituenti scrissero la Costituzione di una repubblica “democratica” era di evitare che la circolazione del potere avvenisse tra chi era già al potere. Era di aprire il potere alla cittadinanza più larga per scongiurare l’accumulo di potere nelle stesse mani per troppo tempo, una porta aperta all’abuso e alla corruzione. E’ una legge quasi naturale che chi ha potere tenda a volerne di più e a volerlo tenere il più a lungo possibile. Le democrazie sono nate per moderare con elezioni cicliche questa condizione: quindi, apertura alla corsa per le candidatue, tempi brevi di rinnovo delle cariche.

Succede ora che questa regola democratica sia in disuso e, anzi, venga accusata di essere populistica. La competenza, ci dicono questi sofisti, vuole che chi è già nella macchina ci debba restare perchè la conosce bene. Ma sappiamo bene che è tenere aperta la competizione la garanzia che i migliori emergano, non chiudere preventivamente il recinti e scegliere tra chi è già dentro. Questo vale in tutte le professioni, anche nella politica, che anzi è più di tutte esposta ai rischi degli zoo recintati, come se l’amministrazione pubblica fosse un possesso di qualcuno. E’ una regola che dal Settecento almeno va avanti: senza un’eguale opportunità di prendere parte, vince sempre chi sta dentro, e questo non è desiderabile.

Vi è un’altra ragione per cui non si può volere che tutto resti dentro il palazzo: è arbitrario che un sindaco designi il suo successore, imponendolo al partito e ai cittadini. L’autocrazia non è un mezzo democratico di selezione. E’ inoltre ancora più arbitrario che il candidato prescelto si avvalga della macchina comunale (essendo, appunto già dentro) per far campagna elettorale; e non ci vuol molto cervello a capire che così sarà. A questo punto però nessuno ha oggettivamente la possiblità di competere o partecipare con gli stessi mezzi – solo alcuni o uno solo ha questo potere, che è a tutti gli affetti un privilegio.

Per questa ragione, essendo il partito impotente di fronte al notabile, siano le primarie a scegliere. Non c’è solo un candidato dicharato ex ante competente. Ce ne possono essere altri o altre che sono nella condizione di rivendicare una competenza di governo e competere.

Nadia Urbinati

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