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Elezioni regionali, Diego De Podestà: “Sveglia sinistra, nel lavoro è cambiato tutto: in peggio”

Diego De Podestà, figura “storica” della sinistra riminese, consigliere comunale dal 1985 al 1999 e assessore in Comune a Rimini negli anni ’90, dipendente regionale, ha lanciato un documento sulla crisi del modello “Emilia-Romagna” che verrà inviato a forze politiche e sociali della nostra provincia per aprire il confronto sulla sfida delle elezioni regionali del prossimo autunno. In questa intervista De Podestà ne anticipa i temi.

Lei dall’osservatorio regionale e in vista delle prossime elezioni ha prodotto una riflessione sull’Emilia-Romagna e in particolare sullo stato di salute del cosiddetto “modello emiliano”. Perché ha sentito questa necessità?

«Perché ci avviciniamo ad una scadenza elettorale  complicata. I dati elettorali, delle europee, delle politiche e delle regionali del 2014 lanciano un allarme che non possiamo affrontare solo citando i risultati ottenuti. Nemmeno i buoni risultati (a parte Forlì e Ferrara) delle Comunali del 2019 possono rassicurarci. Dobbiamo chiederci se nella durissima crisi partita nel 2008 e non ancora risolta, la nostra regione è cambiata nella sua economia e soprattutto nella sua coesione sociale. Il problema che pongo nel documento è di cogliere il nesso fra le ultime tornate elettorali e l’emergere di una linea di frattura nella storia politica dell’Emilia-Romagna».

E quanto è cambiata la nostra regione, secondo il suo punto di osservazione?

«Moltissimo, sia sul versante dell’impresa che sul versante del lavoro. Molte imprese si sono perse per strada. Fra il 2006 e il 2017 in regione si sono perdute oltre 23.000 imprese, pari al 5,5 del totale, con un calo in agricoltura del 20%, nell’industria del 23%. Nel commercio hanno chiuso oltre 6.000 imprese. E’ crollata l’edilizia e anche grandi cooperative come CESI di Imola, Coopsette di Reggio e perfino CMC, si sono trovate di fronte a enormi problemi. Anche il sistema bancario ha sofferto. Pensiamo al fallimento di Cariferrara o a Carim dove migliaia di azionisti hanno dovuto cedere azioni per pochi spiccioli».

Sul versante del lavoro lei vede novità rilevanti?

«E’ stato gravemente intaccato il nucleo del lavoro stabile, che è la premessa di ogni coesione sociale ed era la base del PCI e della sinistra. Chi non ha lavoro stabile non ha ruolo sociale, non è in grado di accendere un mutuo, di programmare la propria vita, fare figli e non è neppure in grado di guardare il resto della società con apertura e spirito solidale. Nel decennio 2008-2017 le principali trasformazioni hanno il segno della precarizzazione: percentualmente perde il lavoro a tempo pieno, aumentano il part-time o il lavoro a tempo determinato o i contratti a progetto. I giovani poi sono i più penalizzati. La fascia di età 15-24 ha perso 17 mila occupati, quella 25-34 subisce un tracollo del 28,7 per cento, quella 35-44 perde 77 mila occupati pari al 12,3 per cento. Il tasso di disoccupazione è del 6,5 per cento, più basso di quello nazionale. Ma nel 2008 era del 3,2: è più che raddoppiato. Il lavoro femminile è sempre stato un vanto della nostra regione, ebbene, 24 mila operaie hanno perso il lavoro dal 2008 al 2017 e ben il 32,4 per cento delle occupate ha un contratto a tempo parziale. Si badi bene, nella maggior parte dei casi, si tratta di part time involontario. E’ vero che nel 2018 gli occupati sono aumentati di 55 mila unità, ma quote crescenti di lavoratori devono accettare pessimi rapporti di lavoro».

Quali conseguenze si ricavano da questi dati?

«Almeno due. La prima: la società si frantuma, usciamo da un decennio terribile, da una parte con un grado maggiore di precarietà e flessibilità della forza lavoro e dall’altra con i ceti della “rendita”, nella finanza e nell’immobiliare, impauriti e incattiviti. La seconda: sul piano politico i governi della sinistra in regione sembrano chiusi nella morsa di un ceto medio scontento perché perde status e reddito e di un mondo del lavoro che si va convertendo alla guerra fra poveri. Per questi motivi la narrazione di una realtà regionale come un insieme di eccellenti prestazioni economiche e sociali, non può che suscitare domande che non trovano risposta: perché per me le cose non vanno bene, perché dopo anni e anni, il mio lavoro precario è l’unica prospettiva che ho?».

Secondo lei questi interrogativi sono presenti nella sinistra regionale?

«Molto meno di quanto occorrerebbe. Per questo motivo ho scritto questo documento ed è mia intenzione sottoporlo ad un confronto con forze sociali, economiche e politiche nelle prossime settimane. Un contributo certamente parziale (per esempio occorrerebbe una riflessione anche sul welfare regionale), ma secondo me necessario per rendere più consapevole la sinistra delle difficoltà della fase elettorale che ci aspetta e che non si può affrontare con alchimie politiche ma con proposte all’altezza della sfida». 

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