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El Chico e gli altri, il fantastico mondo degli Apodos

Noi abbiamo El Chico, quell’Adrian Ricchiuti che nella sua Lanùs, nella cintura urbana di Buenos Aires, veniva chiamato semplicemente così, “il ragazzo”.  Ma uno dei motivi del fascino che mondo ispanico del pallone riesce a esercitare sono gli apodos (soprannomi), che a volte perfino più estrosi dei calciatori  che li portano. Oppure sono personalissimi, magari ereditati di padre in figlio. Si pensi a Veròn, conosciuto come la Brujita e a suo padre, la Bruja. Si pensi anche a Higuain, il Pipita, figlio della Pipa Higuain, che si portava appresso un naso importante.

CI VUOLE UN FISICO BESTIALE.

Altri si riferiscono a caratteristiche somatiche, fisiche, tecniche e caratteriali.

El Flaco [il magro]. Il primo calciatore che lego a questo soprannome non è, come molti penseranno, Javier Pastore. Il trequartista del Psg è solo uno degli ultimi a portarsi dietro questo nomignolo, grazie ai suoi 187 centimetri di grazia e sinuosità. Io lo collego istantaneamente a Rolando Schiavi, bandiera prima dell’Argentinos Juniors, poi del Boca. Un difensore che, contrariamente al Flaco Pastore, di aggraziato aveva ben poco. Sopperiva alla mancanza di eleganza e tecnica con una dose massiccia di grinta e cuore, che gli valsero anche la convocazione in Nazionale alla veneranda età di 36 anni. Impossibile dimenticare la partita di Copa Libertadores 2003, quando affrontò il Colo-Colo di Ivan Zamorano con l’appendicite, resistendo per 90 minuti in campo e venendo poi trasportato d’urgenza in ospedale per essere operato. Classe cristallina in fisico filiforme ebbe in vece in sorte Enzo El Flaco Francescoli, uruguaiano in Italia con CagliariTorino, ma in Argentina prima bandiera e ora dirigente del River.

El Pelado [il pelato]. Questo soprannome è quasi una condanna per chi lo porta. Si attacca addosso e non ti lascia più, anche quando ti trasformi nel calciatore più capellone del mondo. I due casi più celebri rispondono ai nomi di Matias Almeyda e Martin Caceres, entrambi “pelati”. L’ex difensore della Juve potrà sempre prendersela con sua madre, rea di avergli rasato la testa nel 1998. A nulla valse il fatto che prima e dopo quella data l’uruguayano avesse sempre i capelli oltre le spalle.
Più scontata la storia dell’ex centrocampista di Lazio e Inter, che quando arrivò nelle giovanili del River Plate, nel 1989, aveva i capelli cortissimi. Stesso epilogo anche per lui: una carriera coi capelli al vento, ma per tutti e per sempre el Pelado.

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Uno dei rari momenti, nella vita di Matias Almeyda, senza la sua celebre capigliatura.

El Colorado [il rosso]. Apodo riferito a quei (pochi) giocatori dai capelli rossi. Puoi essere castano chiaro, rossiccio, albino…diventi el Colorado a prescindere. Ne sa qualcosa Federico Lussenhoff, ex di Mallorca e Tenerife, soprannominato anche “la Furia Colorada”.

El Turco, El Negro [il turco, il nero]. Discorso simile ai “colorados”. Se hai la pelle leggermente ambrata, quasi olivastra, capelli molto scuri…non puoi non essere el Turco. Claudio Husain, ex Napoli, si portò in Italia questo soprannome; Antonio Mohamed, ora allenatore dei messicani del Monterrey, se l’è tenuto anche una volta appesi gli scarpini al chiodo.
Lo sfortunatissimo Fernando Caceres, primatista di presenze in competizioni Uefa col Celta Vigo, è stato sempre riconosciuto come el Negro, per via del colorito della sua pelle, particolarmente scuro.

El Chino [il cinese]. Impossibile sbagliarsi anche qui. Se ti chiamano “Chino”, può esserci un solo motivo: i tuoi occhi leggermente a mandorla, la carnagione tendente al gialliastro e capelli neri e fini, proprio come quelli degli asiatici. Il più famoso rimane senza dubbio Alvaro Recoba, ma non è l’unico…vero Roberto Losada e Miguel Caneo?

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Pare che in Oriente si fossero interessati alla naturalizzazione di Recoba

QUESTIONE DI CARATTERE.

El Mudo [il muto]. Apodo tipico di chi non si concede con troppa facilità alla stampa e non esterna, in campo e fuori, grandi emozioni. Spesso è stato associato a grandi registi, tecnici e introversi. Primo fra tutti, Juan Roman Riquelme. El Diez del Boca ha probabilmente una sola espressione facciale, cosa che non gli ha impedito nel corso della sua carriera di sollevare al cielo la bellezza di 14 trofei. Appesi gli scarpini al chiodo, tocca a Franco Vazquez tenere alto l’onore di questo soprannome. Se Pirlo fosse nato nella provincia di Cordoba come l’ex Palermo, sarebbe entrato sicuramente nel club.

El Tanque [il carro armato]. Il vero bomber, in Argentina, si riconosce da questo soprannome. Un carro armato dell’area di rigore, un attaccante che sfonda le reti e carica i tifosi. Quello che mi fece innamorare di questo apodo fu Santiago Silva, ammirato fugacemente in Italia con la maglia della Fiorentina dopo aver segnato valanghe di reti in Sudamerica; anche se nel Bel Paese di vero Tanque ce n’è stato uno solo. German Denis. Una carriera italiana vissuta tra Napoli, Udinese e Atalanta (di cui fu anche capitano), con un bottino complessivo di 76 reti. Il soprannome è una via di mezzo tra caratteristiche fisiche e caratteriali: il Tanque è massiccio e grintoso, ben piazzato e sempre sul pezzo.

El Loco [il pazzo]. Altro apodo diffusissimo in Sudamerica. Basta un episodio particolare a condannare un calciatore e farlo diventare “pazzo” per tutta la carriera. Gli esempi celebri qui si sprecano: da Martin Palermo – pazzo nel suo modo di pettinarsi e vestirsi negli anni 90, imitando una rock band argentina – a Marcelo Bielsa, loco nei suoi metodi di allenamento, nelle sue risposte alla stampa e soprattutto nel suo tentativo di fronteggiare gli ultras del Newell’s Old Boys nel 1992, quando allenava la Lepra; passando per il giramondo uruguaiano Sebastian Abreu.
Probabilmente, se Soviero fosse stato argentino, non avrebbero avuto difficoltà a chiamarlo così.

El Jefecito, El General, El Mariscal [il capetto, il generale, il maresciallo]. Come avrete capito, qui si tratta di “avere le palle”. Solo un leader nato può raggiungere un soprannome del genere. Carisma, cattiveria agonistica e garra, questi gli ingredienti per diventare capetti, generali o marescialli. Per info, chiedere ai possessori di questi apodos: Javier “El Jefe” Mascherano, Tomas “El General” Rincon e Gonzalo “El Mariscal” Rodriguez.

NELLA VECCHIA FATTORIA.

El Mono, El Conejo, La Gata, El Burrito, El Lobo, El Piojo, La Pulga, El Camelo, El Tigre, El Torito, La Galina [la scimmia, il coniglio, il papero, il gatto, l’asinello, il lupo, il pidocchio, la pulce, il cammello, la tigre, il torello, la gallina]. Non tutti sono grandi complimenti, ma tant’è. I riferimenti al mondo animale in Sudamerica si sprecano. Per alcuni le somiglianze sono davvero impressionanti, per altri è l’aspetto caratteriale ad avvicinarli ad alcuni animali. El Mono Burgos, eccentrico ex portiere e vice del Cholo Simeone, viene associato ad una scimmia; Javier Saviola e i suoi dentoni sporgenti fanno di lui un Conejo; Gaston Fernandez diventa un Gato per la vicinanza del suo nome i suoi occhi “felini”. Altri ancora diventano lobos, lupi, come lo spagnolo Carrasco e il venezuelano Alejandro Guerra. Nella vecchia fattoria di Zio Tobia incontriamo anche asini, come l’indimenticabile Ortega (anche se in questo caso il soprannome viene ereditato dal padre, el Burro Ortega); cammelli, l’ex Genoa Lucas Pratto, col suo stile di corsa inconfondibile e molto simile all’andatura dell’animale del deserto; ma anche creature minuscole…come pidocchi e pulci. Claudio Lopez diventa pidocchio sin da bambino, quando giocava contro ragazzi più grandi di lui nonostante un fisico nettamente sfavorevole. Motivi più o meno simili per Messi, la pulce, vista la sua statura. Radamel Falcao è invece tornato ad essere la tigre delle aree di rigore, il suo istinto predatorio pare essersi risvegliato nel Principato di Monaco. Stupendo anche il vezzeggiativo affibbiato a Maxi Lopez: galina de oro, per la sua cresta bionda e i suoi fianchi larghi che fanno tanto assomigliare il suo incedere a quello di una gallina.

BIM-BUM-BAM.

El Pato Lucas [Duffy Duck]. Nel variegato mondo sudamericano, non possono mancare riferimenti “televisivi”, più in particolare, ai cartoni animati che tengono incollati davanti agli schermi anche le future stelle del calcio mondiale. Come nel caso di Roberto “Pato” Abbondanzieri, così chiamato in onore di Duffy Duck (in America latina, el Pato Lucas), a cui tanto assomiglia nel modo di camminare.

La Cachavacha [la strega Cachavacha]. Nelle giovanili dell’Independiente, Diego Forlan fu associato sin da subito alla strega Cachavacha, protagonista del cartone animato “Las Aventuras de Hijitus”. Non propriamente un complimento, dopo aver osservato il personaggio, ma quei capelli biondicci tenuti indietro dall’immancabile cerchietto hanno fatto da sé.

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La Cachavacha Forlan. A voi riconoscere quale dei due ha giocato nell’Inter.

El Kun [Kum]. Anche Sergio Aguero non sfugge a questa regola. Questa volta la “colpa” è da attribuire a suo nonno, che da piccolo lo paragonava all’omonimo cartone animato giapponese, famoso in Argentina. Peccato che il personaggio, in realtà, si chiamasse Kum

Bam-Bam [Bam Bam]. Chi non ricorda i Flinstones, simpatico cartone animato ambientato in epoca preistorica? E chi non ricorda Bam Bam, figliolo di Barney e Betty Rubble? Fisico minuto, clava in mano e forza prorompente. A quale giocatore lo assocereste? In Sudamerica, qualche decennio fa, hanno pensato bene di affibbiarlo a Ivan Zamorano. A pensarci bene, scelta azzeccata: l’ex attaccante dell’Inter, in effetti, ha sempre avuto qualcosa di preistorico…

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Non basterebbe una giornata per elencare tutti i restanti soprannomi che mi hanno preso il cuore fin dal primo momento: da Gento, detto “la Bicicleta”, perché solo in bici riuscivi a recuperarlo quando scattava; fino a Cristian Rodriguez, per tutti “el Cebolla”, visto che in Uruguay “faceva piangere i suoi marcatori”; passando per “el Gitano” (lo zingaro), apodo comunemente attribuito a tutti quei calciatori che hanno girovagato per il mondo, per me legato indissolubilmente a Dani Guiza.

Simone Grassi  di Sportellate.it  

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