E al Fellini Museum arriva anche la “benedizione” dell’Osservatore Romano. Il quotidiano della Santa Sede dedica all’opera appena inaugurata a Rimini un lungo articolo intitolato “Luce inedita allo sguardo degli ultimi” e firmato da don Dario Edoardo Viganò (nell’immagine in apertura), autore di numerosi libri ed articoli dedicati al rapporto tra il cinema ed il mondo cattolico, già docente alla Pontificia Università Lateranense e alla LUISS e fino al 2018 è stato prefetto della Segreteria per la comunicazione del Vaticano. Insomma, il critico cinematgrafico (semi)ufficiale d’oltre Tevere.
Articolo dai toni entusiastici: per Viganò il nuovo museo di Rimini è “una grande opportunità per l’intero Paese e la cultura italiana”, “un luogo davvero speciale. Non solo per ciò che ha rappresentato Federico Fellini per il cinema e la cultura italiana, ma anche e soprattutto per l’impianto museale”. E spiega: “Infatti, anche il Museo, come Fellini era solito fare, sembra sparigliare le carte, per offrire al visitatore qualcosa di inaudito e fortemente immaginativo”.
E ancora: “Nel quattrocentesco Castel Sismondo si è immersi in una macchina ad alta densità immaginativa che coinvolge profondamente il visitatore/spettatore”. La “Sala delle altalene” è “una ininterrotta vibrazione iconica con cui l’opera del regista racconta la complessità della società italiana”.
Viganò non manca di rievocare quello che per il regista riminese fu il punto più alto di incontro-scontro con il mondo cattolico e le gerarchie vaticane. E cioè le reazioni opposte che si scatenarono all’uscita de “La dolce vita” nel 1960. Visione “sconsigliata” dal Centro Cattolico cinematografico e invece recensita positivamente dal gesuita padre Nazareno Taddei. Diatriba sulla quale lo stesso Osservatore Romano intervenne per ben sei volte. Mentre lo stesso Fellini trasfigurò il proprio complesso rapporto con la fede ed suoi rappresentanti terreni nel film successivo, che fu 8½.
Infine, la doverosa citazione delle parole di Papa Francesco su La strada: «Fellini ha saputo donare una luce inedita allo sguardo sugli ultimi. In quel film il racconto sugli ultimi è esemplare ed è un invito a preservare il loro prezioso sguardo sulla realtà. Penso alle parole che il Matto rivolge a Gelsomina: “Tu sassolino, hai un senso in questa vita”. È un discorso profondamente intriso di richiami evangelici»