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E Israele “riabilita” Pivato: “Una trentina gli Ebrei salvati da Bartali”

Era stato accusato di antisemitismo, revisionismo, negazionismo. E soprattutto di lesa maestà, avendo osato mettere in dubbio un mito come quello di Gino Bartali salvatore di migliaia di Ebrei. Ma dopo attacchi violentssimi ora quelli che gli dànno ragione si moltiplicano. Lo storico riminese Stefano Pivato – già rettore dell’Università di Urbino e assessore alla cultura nella sua città – era finito nell’occhio del ciclone per aver confutato una tesi cui lui stesso aveva prestato fede. Ora però lo Yad Vashem ha dichiarato che gli ebrei salvati da Bartali non sarebbero stati le migliaia accreditate da una diffusa vulgata e neppure i sette-ottocento dichiarati nella motivazione con la quale il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito nel 2005 alla famiglia del campione la medaglia d’oro al valore civile, ma una trentina.

Bartali “Giusto fra e Nazioni”, nel nome del quale il Giro d’Italia del 2018 era partito da Israele. Una gloria usurpata? Certamente no, anche se invece di trenta vite ne avesse salvata una sola. Ma come si è arrivati alle migliaia senza uno straccio di prova in mano?

Il caso, presto internazionale, era scoppiato con la pubblicazione ai primi dell’anno di “L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata”. O meglio, prima ancora che il libro scritto da Stefano Pivato assieme al figlio Marco uscisse nelle librerie. Era infatti bastata una recensione – positiva – di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera dell’8 gennaio perchè si scatenasse la tempesta perfetta. Il giornalista avevo visto il lavoro in bozza e nessun altro aveva ancora potuto leggerlo, eppure in tanti avevano dato fuoco alle polveri senza darsi nemmeno la cura di aprire una pagina. Perfino uno storico. Abdicando così in maniera clamorosa al dovere numero uno del mestiere: prima verificare le fonti, poi trarre delle conclusioni. Ma soprattutto, non dando retta allo stesso Ginettaccio Bartali, passato alla storia anche per quel suo proverbiale “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare” che qualche cautela poteva suggerirla.

A ricostruire questa vicenda che ha del paradossossale esce ora per Castelvecchi “Il caso Bartali e le responsabilità degli storici”. Raccoglie gli interventi di David Bidussa (storico, consulente e Fondazione Feltrinelli e di Rai Storia), John Foot (docente dell’Università di Bristol), Gianluca Fulvetti (docente all’Università di Pisa), Carla Marcellini (docente di Lettere  e vicedirettore della rivista «Novecento.org. didattica della storia in rete»), Nicola Sbetti (PhD., storico dello sport, insegna al Dipartimento di Scienze per la qualità della vita dell’Università di Bologna), oltre che dello stesso Stefano Pivato.


“Nessuno storico ha finora indagato i fatti, tramite il controllo e confronto attento delle fonti – si legge nella nota di copertina – e così la leggenda di Bartali salvatore degli ebrei e le esagerazioni sui numeri dei salvati si sono propagate nella narrazione pubblica delle Giornate della Memoria come il fruscio delle ruote di una bicicletta lungo una strada solitaria. È proprio alle disattese responsabilità degli storici nella diffusione di questa leggenda che questo libro intende porre rimedio”.

Scrive Pivato: “Al momento dell’insediamento del governo Draghi, nel febbraio del 2021, il sottosegretario all’Istruzione confonde una citazione di Topolino con una di Dante e i giornali ricordano che la sottosegretaria alla Cultura aveva tempo addietro dichiarato di non leggere un libro da tre anni. Negli stessi giorni, il segretario di uno dei maggiori partiti italiani dichiara che Barbara d’Urso, con le sue trasmissioni spesso trash, ha avvicinato gli italiani alla politica. Sociologi, insegnanti e osservatori del costume hanno più volte sottolineato il clima di degrado culturale che l’Italia sta attraversando. Senza dover richiamare nuovamente Umberto Eco, è evidente che siamo transitati dall’Italia delle Madonne Pellegrine degli anni Cinquanta al Paese di Vanna Marchi, nel quale scarso senso critico, dabbenaggine e ingenuità sono divenuti dei lasciapassare nei confronti della credulità. È, in definitiva, un’Italia un po’ cialtrona, nella quale testimonianze dubbie e bislacche sono ad Vashem assunte come prove. E questo processo ha purtroppo coinvolto anche la storia, che ha perduto la sua essenza di magistra vitae: le fonti sono state sostituite da una miracolistica un tanto al chilo, dai «si dice» e dalle testimonianze indirette di seconda e di terza mano che viaggiano assieme alla carovana del Giro d’Italia. In realtà, nessuno storico si è mai occupato della vi- cenda di Bartali, facendo sì che una notizia divulgata da un romanzo si trasformasse in leggenda”.

Ma del resto, “i miti in cui si crede tendono a diventare veri”: parola di George Orwell.

Stefano Cicchetti

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