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Donne, alpini e palombari

La vicenda delle denunce per molestie a carico degli alpini è stata male interpretata.
Certo non aiutano i fiumi di birra sgorganti dalle mega cisterne apprestate per il raduno. Non aiutano (a parte il business) i debordanti raduni maschili e la obsoleta cultura del militare arrapato a cui il medico del plotone impone iniezioni di bromuro come ad una animale in calore. E non aiuta un vocabolario di apprezzamenti maschili che nasconde rapporti di potere consolidati che non sanno estinguersi. Potere detenuto dall’intero universo maschile, dalle alte vette alpine alla profondità dei mari.

Se poi assumiamo, come argomento dirimente, i riflessi giudiziari di denunce, sentenze, assoluzioni, ecc. rischiamo di entrare nella nebbia. Da lì potrà forse venire una sanzione, non certo la verità sulla natura del problema.

Cosa sta succedendo fra maschi e femmine?

Anche i tragici femminicidi di cui ogni giorno leggiamo, segnalano l’esistenza di un problema, ma raramente lo spiegano. La follia, la gelosia ossessiva, la perdita di possesso, il senso della sconfitta, sono indicatori di una perdita di potere, ma il carattere estremo di questi gesti rischia di mettere in secondo piano il nucleo del conflitto e di trasformare in cronaca nera processi storici di ben altro spessore. Ovviamente, per far fronte alle troppe tragedie quotidiane, occorrono reti di protezione sociale che si stanno realizzando e che vanno rafforzate. Non dimenticando che la migliore rete di protezione è la cultura, quella che si dovrebbe imparare a scuola e dentro le case.

Il nodo vero si nasconde nella struttura dell’organizzazione sociale che i secoli hanno lasciato pressoché intatta, fin dentro al cuore della società moderna, della società dei diritti e dell’eguaglianza. Quasi tutto è cambiato in cento anni, ma qualcosa resiste sotto l’apparente “società aperta” in cui ci troviamo, qualcosa che l’iperbolico “individuo” di Karl Popper non è riuscito a cambiare.

Intendo parlare del patriarcato che, per dirla con il filosofo con la barba, è un “rapporto di produzione” entrato irrimediabilmente in conflitto con parte delle “forze produttive”, con il cinquanta per cento della popolazione mondiale, con il genere femminile.

Dunque dietro la battuta volgare, dietro il complimento grossolano ad una donna, dietro l’invito a compiacere ai desideri sessuali del maschio, che siano pronunciati da un alpino o da un palombaro, si nasconde un rapporto di potere che appare finalmente in chiaro e non più accettato dall’altra metà del cielo. Perciò non deve stupire la reazione femminile.

Succede che il genere femminile comincia a porre una semplice questione: anche l’attività di produzione del mezzo di produzione principale (il lavoratore) che si sviluppa attraverso l’attività sessuale, l’allevamento e la cura dei bambini e dei maschi, attività storicamente considerata femminile e necessaria alla riproduzione sociale, comincia ad apparire come componente del processo di produzione di valore. Il famoso “stipendio alle casalinghe” rivendicato negli anni settanta dal protofemminismo, già indicava, sia pure in forma ingenua, il rifiuto di considerare “dato in natura” il lavoro femminile di cura. Il patriarcato e tutto ciò che ne deriva di potere maschile (compresa la possibilità di molestare il genere subordinato), non è avulso dal sistema di produzione di valore, anzi ne è una componente fondamentale.

Si potrebbe aggiungere che la tecnologia sta, a sua volta, disvelando la fine della funzione storica del patriarcato. Quando per gestire un magazzino serviva la forza delle braccia maschili, poteva apparire “naturale” il ruolo femminile di “angelo del focolare” destinato alla soddisfazione del bisogni sessuali, riproduttivi e di cura del “patriarca”. I magazzini robotizzati di oggi cancellano definitivamente questo lascito storico.

Ecco perché gli alpini o i palombari, in particolare quei (fortunatamente) pochi fra loro che si atteggiano ancora a “patriarchi”, devono capire che il tempo è finito.

E’ la lotta di classe, bellezza! Ed è appena iniziata!

Giuseppe Chicchi

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