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Dolce Carlotta, una pennichella non farà male: né a te né al mondo

Piano piano, dolce Carlotta non è solo un vecchio film del 1964 con la grande Bette Davis. È anche quello che molti di noi vorrebbero dire a Carlotta Rossignoli, una signorina veronese di cui molto si è parlato e twittato in questi giorni. Non solo perché a soli 23 anni si è laureata in medicina all’università del San Raffaele di Milano continuando a fare la modella, la influencer e la collaboratrice di una tv locale, ma anche perché, fra i suoi segreti, c’è il poter fare a meno del sonno. «Non ho bisogno di dormire molto, mi sembra una perdita di tempo,» ha detto a Verona Sera, «mi bastano quattro ore per notte.» Cinque minuti dopo la diffusione dell’intervista sul Corriere, i social esplodevano. Sotto accusa, prima di tutto, i media: come si fa ad additare a modello una che si priva volontariamente del sonno, così importante per la salute psicofisica a tutte le età? Da notare che gli stessi media propongono, un giorno sì e l’altro pure, allarmanti articoli sul dilagare dei disturbi del sonno, sui legami fra insonnia e malattie degenerative e cardiovascolari, ritardo nella crescita, sovrappeso, senescenza precoce e, last but not least, invecchiamento della pelle.

In un primo tempo ho trovato le proteste irritanti. Se a Carlotta Rossignoli bastano quattro ore di sonno, che male c’è? Chi all’università non si è inflitto veglie a base di caffè e sigarette per preparare un esamone? Come il bisogno di cibo, quello di sonno varia da persona a persona, e cambia con l’età. Per dire: fino a trent’anni ho detestato la pennica pomeridiana, adesso guai a chi me la tocca. E comunque dormire poco non è di per sé garanzia di successo: Jeff Bezos e Bill Gates dormono sette-otto ore a notte, Winston Churchill sei, ma si concedeva lunghi sonnellini. Non solo: le canoniche otto ore di sonno non sono sempre state una scansione obbligata. È vero che siamo animali diurni, ma, come rilevano gli storici della vita quotidiana, solo negli ultimi due secoli in Occidente si è affermato il riposo notturno continuativo. Prima di allora si scaglionava, qualche ora di sonno dopo cena, poi un’ora o due di veglia in cui si lavorava, si socializzava o, perché no? si pregava, e poi di nuovo a letto fino all’alba. I geni si tagliavano il sonno su misura, come faceva Leonardo da Vinci, che dormiva solo due ore al giorno, suddivise in micro-pisolini da venti minuti, re e regine addirittura lavoravano dal letto in pieno giorno.

È stata la civiltà industriale a frazionare le ventiquatt’ore in tre blocchi: «otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore di sonno» era lo slogan coniato dai lavoratori australiani nel 1855 e poi adottato nel cinquantennio successivo da tutti i movimenti sindacali. Ma, contemporaneamente, la mentalità capitalistico-protestante ha cominciato a mettere all’indice il sonno, parente del peccaminoso ozio. Alcuni scienziati l’hanno definito un errore di programmazione dell’homo sapiens, uno svantaggio evolutivo, un handicap per la nostra capacità di riprodurci e difenderci da altri predatori. Ora, se pur dormendo, siamo diventati più di sette miliardi e abbiamo quasi causato l’estinzione dei grandi predatori, immaginiate come avremmo ridotto il pianeta se avessimo dormito tutti al massimo quattro ore come la neo-dottoressa Rossignoli. Quindi, piano, piano, dolce Carlotta. E cerca di riposare soprattutto quando farai il medico: la mancanza di sonno triplica la probabilità di prendere cantonate.

Lia Celi

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