Lo “Sblocca Cantieri” è legge. E finalmente – dopo una girandola di commenti sul suo ipotetico/auspicato contenuto – possiamo esaminarlo per quello che è e non per quello che avevamo desiderato che fosse.
Mentre i più guardano alle norme dei cantieri e dei lavori pubblici, esaminiamo qui un aspetto forse marginale nel corposo testo della nuova legge: ci riferiamo all’articolo 5 dal titolo ambizioso (“Norme in materia di rigenerazione urbana”) che doveva contenere anche il tanto atteso superamento della limitazione dei dieci metri tra pareti finestrate del (vecchio ma ancor vivo e vegeto) decreto ministeriale n. 1444 del 1968.
Superamento da molti atteso, e ancor più a Rimini e dintorni, enfaticamente anticipato dalla stampa (anche quella specializzata) e che invece di fatto non c’è, nonostante ancor oggi si leggano commenti ingannevoli sull’effettiva “innovazione” apportata dalla legge dello Sblocca Cantieri.
Intanto non è vero che la norma del DM sia stata soppressa e tanto meno che sia stata riscritta. Più semplicemente è stata “interpretata” per cui oggi il Legislatore ci dice (a distanza di cinquant’anni) come avremmo dovuto leggerla da sempre (fin dall’inizio).
Il che ha delle evidenti ripercussioni anche sul passato oltre che sul futuro perché è conseguente che l’interpretazione autentica ha effetto retroattivo.
Non sto ad entrare nel complesso (e anche un po’ artificioso) meccanismo giuridico usato dal Legislatore (chi avesse interesse potrà leggere i commenti che ho scritto sulla rivista on-line InGenio); dirò solo che l’articolo 5 dello Sblocca Cantieri detta la modalità interpretativa dell’articolo 9 del DM 1444 del ’68, quello appunto sulle distanze tra pareti finestrate.
In buona sostanza il limite dei dieci metri tra pareti finestrate permane nelle zone edificate (le cosiddette zone “B”), quelle che più hanno sofferto dell’applicazione della norma e che nel tempo tutti hanno cercato di superare/bypassare (pianificatori compresi). Senza però riuscirci .
Quindi non è vero che ci sia stata liberalizzazione in queste aree; anzi, mentre prima si poteva usare uno strumento comunale (il piano particolareggiato) per superare la limitazione del decreto in materia di distanze, oggi non è più possibile perché, “grazie” alla nuova interpretazione, questa metodica vale solo per le zone di nuova espansione (le cosiddette zone “C”). Il che non mi pare sia una facilitazione.
L’unico vantaggio per le zone “B” (quelle già edificate e di completamento) è che sparisce la maggiorazione della distanza tra fabbricati pari a quello più alto se quest’ultimo supera i dieci metri. In sostanza i dieci metri restano una distanza fissa indipendentemente dall’altezza degli edifici (vien meno la proporzionalità).
Il che agevola la “densificazione” tanto auspicata ai fini della “rigenerazione urbana” (che poi è il titolo e la finalità dell’articolo 5 dello Sblocca Cantieri) anche se il bilancio tra questo vantaggio da un lato e la perdita di facoltà derogatoria tramite piani particolareggiati dall’altro non so se è positivo.
Fin qui l’incidenza della norma dell’articolo 5 dello Sblocca Cantieri sul DM 1444/68 in materia di distanze tra edifici.
Ma la parte forse più significativa l’articolo 5 la dispiega nei confronti dell’articolo 2bis del DPR 380/01 (meglio noto come Testo unico dell’Edilizia) che integra col comma 1ter precisando che è possibile la demolizione con ricostruzione sullo stesso sedime e con lo stesso volume mantenendo le preesistenti distanze “se legittime”.
Anche qui si manifesta l’intento di favorire la “sostituzione” edilizia, ma non vorrei frenare gli entusiasmi dicendo che quel requisito di legittimità delle distanze esistenti (pur corretto, dovuto e coerente) farà discutere e creerà problemi applicativi. Il tema è tecnicamente più complesso di quello che può apparire a prima vista.
Quanto poi all’ulteriore comma 1 bis che lo Sblocca Cantieri aggiunge all’articolo 2 bis del Testo Unico dell’Edilizia, in realtà non dice nulla di nuovo se non la precisazione che le Regioni (e le province autonome di Trento e Bolzano) possono apportare modifiche anche agli altri articoli del DM 1444/68 anche in materia di “standards urbanistici”, “altezze” e “densità edilizia” (a tutto il decreto insomma tranne la definizione delle zone omogenee).
Allo scopo dovranno approvare “leggi o regolamenti” per “specifiche aree territoriali” (su questa limitazione già si è espressa la Corte Costituzionale).
Nulla di nuovo dunque che già non fosse scritto nel previgente testo dell’articolo 2bis, se non un sollecito a dare corso a tali modifiche perché funzionali a quella “rigenerazione urbana” che l’articolo 5 dichiara espressamente nel titolo e nel testo del primo comma di voler agevolare e incentivare. Ma la cui attuazione è rinviata necessariamente alle regioni.
Però non fidatevi mai dei titoli degli articoli: il 2 bis del Testo Unico dell’Edilizia (tanto per restare in argomento) consente e sollecita l’integrale revisione del DM del ’68 mentre continua a titolare, molto più timidamente, soltanto “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”.
Ermete Dalprato
Il Prof. Ing. Ermete Dal Prato è professore di “Pianificazione territoriale e Urbanistica” all’Università di San Marino dopo aver svolto analoga docenza alla Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna dal 2006 al 2015. Dirige la Rivista mensile “L’Ufficio Tecnico” (ed. Maggioli) che ha fondato nel 1979 e con la stessa Casa Editrice ha pubblicato (con l’ing. Brioli) il volume “Il Tecnico dell’Ente locale” (oggi alla XIII edizione.) È membro fondatore del Centro Studi “Diritto Finanza Progetto” Svolge attività Pubblicistica e di Consulenza Tecnica privata e in sede giudiziale. Ha diretto l’area Urbanistica del Comune di Rimini .