Giovedì 9 luglio, alle ore 21.30 presso la Corte degli Agostiniani, verrà proiettato 8 ½ (1963, 138′) di Federico Fellini per inaugurare la rassegna “E la chiamano Rimini”, che prevede più di 100 eventi tra proiezioni, visite guidate, mercatini, borghi e castelli pronti a svelare ai turisti la storia dei Malatesta e dei Montefeltro.
Invitiamo i lettori di Chiamamicittà.it a prenotarsi il prima possibile attraverso il numero 0541 704494 o via mail a cineteca@comune.rimini.it, perché sono rimasti davvero pochi posti ancora disponibili. Le postazioni sono tutte distanziate ed è possibile prenotarne un massimo di due. La mascherina deve essere indossata in ogni spostamento, può essere tolta solo durante la proiezione.
Non poteva che essere il capolavoro del maestro riminese ad inaugurare la rassegna che ha come obiettivo quello di far dimenticare il prima possibile questo difficile periodo, con un’opera che potremmo dire abbia inaugurato un vero e proprio nuovo genere cinematografico decennale, che vede il Dolor y Gloria (2019, 108’) di Pedro Almodovar una delle sue ultime, e più alte espressioni.
In piena chiave postmoderna, basti pensare a Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) di Calvino, Fellini coglie con geniale anticipo la possibilità di trasformare un momento di crisi artistica (personale, ma anche comunitaria, e del genere cinematografico in sé) in una pellicola che ha segnato il secondo Novecento.
Pur partendo da una struttura (meta)narrativa non del tutto originale come appunto il tòpos del blocco dell’artista, infatti, il regista riminese riesce a eleggere questa non-ispirazione nella più alta delle trame possibili, sublimando quello stillicidio quotidiano di continui tormenti fisici e psicologici che conducono spesso (non solo i grandi artisti, ma anche tutti noi) a un atteggiamento apatico e rassegnato.
8 ½ è un’opera-confessione coraggiosa e complessa, in cui Fellini supera qualsiasi paura di mettere a nudo tutta la malinconia che implica un bilancio esistenziale urgente e sincero, senza eludere quel senso di vuoto che prende il sopravvento quando la vita diviene un concentrato di stanchezza e malessere. Un’introspezione dolorosa e cristallina, che passa attraverso le passioni e la speranza, il passato e il presente, l’urgenza di tornare a raccontare e la necessità di trasformare il rimpianto in azione, tornando a dirigere il set con quell’entusiasmo che aveva illuminato la sua giovinezza.
Edoardo Bassetti