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Così la Mille Miglia fece nascere la terra dei motori

Tommaso Panozzo con Gianni Morolli: “La corsa più bella del mondo. La mille miglia in Romagna” Panozzo.

“Mille Miglia: qualcosa di non definito, di fuori dal naturale, che ricorda le vecchie fiabe che da ragazzi ascoltavamo avidamente, storie di fate, di maghi dagli stivali, di orizzonti sconfinati. Mille Miglia: suggestiva frase che indica oggi il progresso dei mezzi e l’audacia degli uomini. Corsa pazza, estenuante, senza soste, per campagne e città, sui monti e in riva al mare, di giorno e di notte. Nastri stradali che si snodano sotto le rombanti macchine, occhi che non si chiudono nel sonno, volti che non tremano, piloti dai nervi d’acciaio” (Giuseppe Tonelli, da “100 macchine si lanciano da Brescia per le “Mille Miglia”, La Stampa, 27 marzo 1927).

La Mille Miglia è stata una competizione automobilistica stradale di granfondo disputata in Italia in 24 edizioni tra il 1927 e il 1957. Si trattava di una gara di velocità in linea con partenza e arrivo a Brescia. Fu scelto un percorso a forma di “otto” da Brescia a Roma e ritorno lungo circa 1600 km, equivalenti a circa 1000 miglia.

La prima edizione partì alle 13 del 26 marzo 1927, con la partecipazione di 77 equipaggi. Solo dopo l’enorme successo della prima Mille Miglia si decise di ripetere la prova negli anni a venire e l’evento divenne così importante, la gente ne era entusiasta, che il tracciato fu modificato per ben tredici volte per far passare la gara anche da altre città. Ma sempre toccando Rimini e attraversando la Romagna.

Il tracciato della Mille Miglia dal 1927 al 1930

Il giovane Tommaso Panozzo, affiancato dal più attempato medico Gianni Morolli, ci raccontano in questo bel libro le vicende della corsa, nelle varie edizioni, i protagonisti romagnoli (ma soprattutto riminesi) con le loro vittorie, le loro bravate, il loro coraggio (e per partecipare a questa gara ne occorreva molto). In quella che, come disse Enzo Ferrari, era “la corsa più bella del mondo”.

Nel libro si racconta di piloti e di auto, di meccanici e di appassionati. E di Federico Fellini che ricostruì nel film “Amarcord” un passaggio notturno della VII Mille Miglia (1933) a Rimini.

Gli autori non ci presentano solo le statistiche della corsa, ma ci raccontano di un mondo che fu. E gli autori, intervistando tanti protagonisti di quell’epoca, ci dicono anche che “accanto ai ricordi autentici, iniziarono poi a nascere tutta una serie di ‘leggende’ sulla Mille Miglia, e in particolare sulla partecipazione di molti ‘gentleman-driver’ alla corsa: prestazioni incolori concluse prima di tagliare il traguardo diventarono ritiri brucianti e incolpevoli proprio sul più bello. Qualcuno, addirittura, arrivò a millantare partecipazioni mai avvenute, magari in coppia con campioni affermati. Scrivendo questo libro ne ho sentite di tutti i colori, magari, a qualcuna ho pure dato credito: è anche questo il fascino della corsa più bella del mondo”.

“Nelle Mille Miglia dell’anteguerra, le vetture sembravano sfrecciare come lampi devastanti. Provenivano da Pesaro e passavano per Rimini ritornando verso il Nord Italia. Attraversavano la città in piena notte, correvano lungo il Corso, transitavano davanti ai portoni dei palazzi, oltrepassavano il Marecchia, superando il ponte di Tiberio e, quindi, entravano nel Borgo di San Giuliano. Si immettevano, infine, sulla via Emilia, direzione Cesena”.

L’edizione del 1930 consacrò il mito di questa corsa, ma soprattutto trovò il suo protagonista più celebre: il mantovano Tazio Nuvolari alla guida di una rossa Alfa Romeo.

Tazio Nuvolari e Giovanni Battista Guidotti vanno a vincere la Mille Miglia 1930 su Alfa Romeo 1750 6 c carrozzata Zagato

Un piccolo inciso, a p. 24 del libro, ci presenta un avvenimento automobilistico riminese ormai totalmente dimenticato degli anni ’20: la Coppa dell’Adriatico. Questa corsa si svolse dal 1923 al 1932: “Dalla città si faceva rotta verso Coriano, per arrivare poi a San Savino; ci si spostava quindi verso San Giovanni in Marignano, poi Cattolica, Misano, Riccione e infine si tornava a Rimini, il tutto da ripetersi per cinque volte, per un totale di oltre 200 km”. Non dimentichiamo che queste corse, Mille Miglia compresa, si svolgevamo su strade spesso non asfaltate, disastrate, correndo a velocità sostenuta, con grande pericolo per l’incolumità dei piloti e del pubblico ai lati delle strade (come a Bologna, nel piazzale di Porta Zamboni, nell’edizione del 1938, l’ultima prima dello stop imposto da Mussolini con il divieto per le gare di velocità su strade aperte al traffico, dove morirono dieci persone, di cui sette bambini, per la sbandata della Lancia Aprilia di Magnanego-Bruzzi)”.

Il fascismo aveva appoggiato e sostenuto questo evento sportivo: “Se il primo ‘santo in paradiso’ della Mille Miglia fu sicuramente il bresciano Augusto Turati, allora segretario del PNF, il Duce, ben presto, appoggiò la manifestazione (…). Del resto, il forlivese Mussolini era sempre stato appassionato di automobilismo, sport del quale elogiava i tratti caratteristici: il vitalismo, lo sprezzo del pericolo, il rapporto simbiotico con la modernità, l’eroismo sfrontato in pista e in strada. Durante il Ventennio, fu leggendario l’amore di Mussolini per l’Alfa Romeo (‘Veloce come il mio pensiero’)”.

Dopo la sospensione del 1938 la Mille Miglia – e una ridotta edizione “bellica” nel 1940 – tornò nel 1947, nonostante la persistente penuria di carburante e di pneumatici. “Il messaggio di speranza che quella corsa raffazzonata portava con sé era comunque forte”.

L’ultima epica Mille Miglia di Nuvolari nel 1948: 56enne, già gravemente malato, fu costretto al ritiro a Reggio Emilia quando nonostante la pioggia aveva 29 minuti sul secondo, dopo che la sua Ferrari 166 SC aveva perso cofano e un parafango, rotto un seggiolino, il telaio e una balestra

Le emozioni di quelle prime Mille Miglia dell’Italia repubblicana accesero la passione di diversi giovani riminesi (quasi tutti benestanti): Umberto ‘Bitti’ Carli, Franco Bartolotti, Olinto Morolli, Gianfranco Fabbri, Ulisse Pizzi, Federico Zanotti, Egidio Gorza, Astro Bologna.

Il tracciato della Mille Miglia dal 1954 al 1957

E poi l’anno maledetto, il 1957. Nel pomeriggio del 12 maggio, durante le fasi conclusive della XXIV Mille Miglia, la Ferrari 335 S condotta dal pilota spagnolo Alfonso de Portago e dal copilota statunitense Edmund Gurner Nelson percorreva il lungo rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, sulla strada Mantova-Brescia. Si trattava dell’ultima porzione di gara che portava al traguardo di Brescia: le autovetture concorrenti raggiungevano in quel punto velocità anche superiori a 250 km/h.

In vista dell’abitato di Guidizzolo l’improvviso scoppio di uno pneumatico fece sbandare la vettura di de Portago, che finì nel fossato a destra e “rimbalzò”, schiantandosi sul ciglio sinistro, ove era assiepato molto pubblico. L’incidente provocò la morte degli occupanti della vettura e di nove spettatori, tra cui cinque bambini, oltre a numerosi feriti.

De Portago e Nelson su Ferrari 335 S nell’ultima, tragica Mille Miglia del 1957

“Lo choc causato nell’opinione pubblica da quel drammatico incidente pose fine alla Mille Miglia e, in generale, alle corse su strada”. Enzo Ferrari venne incriminato e processato per omicidio colposo e assolto solo dopo quattro anni di perizie e dibattimenti.

“Per quei ragazzi, cresciuti a stretto contatto con i motori, la fine della Mille Miglia non fu solo il simbolo di un’epoca, di una società, di un paese che erano andati scomparendo, ma rappresentò il definitivo passaggio all’età adulta, la fine di tutta una serie di pazzie giovanili, dettate dalla passione, che, da quel momento, in avanti non poterono più permettersi”.

Paolo Zaghini

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